La frase completa è di Antonio Ortoleva: “Lo Stato ha vinto, la mafia ha perso. E ogni anno festeggiamo il compleanno di Falcone e il compleanno di Borsellino”.
Ortoleva, ex giornalista del Giornale di Sicilia, scrittore e docente di giornalismo presso l’Università di Palermo, era ancora assonnato la mattina in cui rispose con questa frase ad una telefonata di Attilio Bolzoni, che aveva appena condiviso con lui l’incipit del suo ultimo libro, Immortali: “In Italia c’è sempre più mafia e ci sono sempre meno mafiosi”.
“Spesso questi compleanni vengono festeggiati anche male”, ha spiegato Bolzoni nella presentazione del libro, mercoledì scorso a Selinunte, presso Pensiero Contemporaneo.
“Non si spara più e ci dicono che lo Stato ha vinto – scrive - Ogni 23 maggio e ogni 19 luglio, i giorni della morte di Falcone e Borsellino, si ripete stancamente il rito. Celebrazioni, fanfare, pennacchi, carabinieri a cavallo. Di tanto in tanto solo qualche antipatico contrattempo. Una volta è il sindaco voluto da un condannato per mafia che diserta la cerimonia, un’altra è la polizia che carica con i manganelli i sindacalisti e gli studenti di un pacifico corteo dei movimenti antimafia”.
Quest’anno, “il contrattempo” sulla commemorazione della strage di Capaci non è passato per niente inosservato, con quello squillo di tromba anticipato di dieci minuti per impedire che il pacifico corteo dei ragazzi e dei familiari delle vittime arrivasse all’Albero Falcone.
Fanfare e pennacchi anche a due anni di distanza dall’arresto di Matteo Messina Denaro. Un arresto che Bolzoni definisce “inodore e insapore”, un’operazione “disinfettata come una sala operatoria”. Con un giornalismo nazionale “indecente” che si è avvitato sul Viagra, le amanti, gli occhiali da sole, la pistola… Distrazioni dalla domanda cruciale: come ha fatto a rimanere latitante per trent’anni un “mafioso quasi morto di una mafia già morta”? O ancora, “perché migliaia di poliziotti, carabinieri, finanzieri e agenti dei servizi segreti presenti tra Campobello e Castelvetrano non si sono accorti di niente?”.
E se l’antimafia giudiziaria non sta messa bene, quella sociale non scherza. A Selinunte, Bolzoni parla anche di Franco La Torre (seduto tra il pubblico), figlio di Pio La Torre ed ex dirigente di Libera, cacciato da don Ciotti con un sms. Si era interrogato apertamente sui “piccoli cedimenti” dell’associazione riguardo a Mafia Capitale, sollevando anche la questione della mancata percezione di quanto stava accadendo nella sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, in relazione al caso della giudice Silvana Saguto. Insomma, aveva osato troppo. E allora per Franco La Torre è arrivato il cartellino rosso, “fuori da Libera”. E’ lo stesso don Ciotti, sottolinea Bolzoni, che su Antonello Montante (il padrino dell’antimafia, poi condannato per corruzione e dossieraggio) aveva espresso la speranza che “Antonello dimostri la verità”. Attenzione, non la sua “estraneità”, ma proprio “la verità”.
Un antimafia sociale “ubbidiente”, è così che l’autore la definisce. E viene spontaneo ricordarsi come, proprio a Castelvetrano sia accaduto in passato una sorta di reset dei “disubbidienti”. Teresa Nardozza fu infatti cacciata via dalla dirigenza regionale di Libera con una mail. Lei e gli altri attivisti si mettevano di traverso rispetto alle istituzioni locali, erano troppo critici, accusati di essere troppo comunisti. Oggi di quel presidio ufficializzato nel 2009, non è rimasto più nulla, se si esclude qualche attività nell’amministrazione dei beni confiscasti. Libera Castelvetrano non si sente, non c’è. Non ha mai detto nulla sugli ultimi arresti, le condanne per corruzione, la stessa cattura del boss. Silenziati i “vecchi”, i nuovi non si espongono per paura di disturbare il manovratore. Eppure, il presidio fu voluto anche dal Prefetto Fulvio Sodano. Al quale, nel 2013, il comune negherà la cittadinanza onoraria.
Il 23 maggio si è “festeggiato il compleanno di Falcone”. Il 19 luglio tocca a Borsellino.
Gli immortali siciliani che danno il titolo al libro sono sempre lì: Cuffaro, Lombardo, Dell’Utri, Schifani, Mannino, Salvatore Cardinale, Saverio Romano…
“Vengono tutti da lontano e ritornano verso il futuro – si legge in Immortali - È una classe dirigente che, al di là delle condanne o delle assoluzioni o dei proscioglimenti, nella sua quasi totalità ha avuto comunque contatti più o meno intensi con ambienti di mafia, e naturalmente si dichiara fortemente contro la mafia”.
E Matteo Messina Denaro? “Con lui è caduto anche il mito di una generazione criminale dannata, quella che voleva far inginocchiare lo Stato ai suoi piedi. Era arrivata dal niente e dal niente è stata ingoiata. E con loro la Corleone che, per tutto ciò che ha significato e causato con i massacri, sarà cancellata dalle mappe mafiose per i prossimi mille anni”.
Oggi, invece? “La mafia ha cominciato lentamente e faticosamente a riappropriarsi del suo Dna, della sua vera natura, facendo semplicemente ciò che aveva sempre fatto prima dei suoi delitti eccellenti: accumulare ricchezza con la politica e la pubblica amministrazione, corrompere, infiltrarsi nei gangli istituzionali, truccare appalti, chiedere e offrire protezione, trattare con gli apparati, aggiustare processi, controllare i territori, condizionare i mercati legali, intimidire, intossicare, ricattare”.
Intanto si celebra l’ennesimo “compleanno”. Fanfare, pennacchi…
Egidio Morici