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26/07/2025 06:00:00

Sicurezza, adesso Palermo ha paura

L’ultimo episodio è accaduto il 19 luglio. Proprio quel 19 luglio. Il giorno in cui Palermo indossa la sua maschera migliore, quella del ricordo e della resistenza, per commemorare l’ultima grande strage di mafia avvenuta nel cuore della città, in via D’Amelio. Il giorno delle corone d’alloro, delle magliette con su scritto «legalità», dei discorsi vibranti, delle platee educate che ascoltano in silenzio e degli applausi che rimbalzano tra i palazzi scrostati della memoria. Il giorno in cui si parla di cambiamento, impegno, rinascita.

 

Eppure, poche ore dopo, terminate le celebrazioni, spenti i microfoni e archiviata l’indignazione annuale, Palermo è tornata quella che è. Una città dove due giovani turisti americani, ventotto anni lui, ventisette lei, mentre rientravano in albergo, sono stati aggrediti da un branco nel centro storico. Lui ha avuto la peggio: colpito al volto con una mazza, come in una scena tagliata da “Arancia Meccanica”. Rapinati, umiliati, poi trasportati al Civico verso le tre del mattino. Medicate le ferite, accertata l’assenza – per fortuna – di danni cerebrali, e dimessi.

 

Non erano i primi. Non saranno gli ultimi. Nei giorni precedenti, due tentativi di stupro ai danni di turiste. E altre aggressioni, altri turisti, altre notti. Il sindaco Roberto Lagalla ha chiesto aiuto. Ha invocato più forze dell’ordine, una stretta sulla sicurezza, un ritorno dello Stato. Ma su di lui pesa il fallimento di un’azione di governo – la prima del dopo Orlando, il sindaco eterno – che di fatto sta portando la città indietro di anni. 

 

 

Dal marzo scorso, gli albergatori hanno alzato il telefono (e la voce) con prefetti, questori, sindaci, santi protettori e fantasmi borbonici. Chiedono un piano straordinario per la sicurezza turistica: più presidi, più telecamere, più luci, e – possibilmente – meno rapine. Ma al momento, l’unica cosa che si accende in certe strade è il terrore.

«Stiamo facendo uno sforzo immenso per tutelare l’immagine della città», racconta con lucidità Rosa Di Stefano, presidente di Federalberghi Palermo. E lo fanno con creatività: modificando i percorsi suggeriti ai visitatori, evitando certe zone, usando parole dolci come «comfort» e «vivibilità», per non dire: «Se lì ci vai alle 11 di sera, non so se ci torni con le scarpe».

Gli albergatori sono diventati una specie di corpo diplomatico non riconosciuto: orientano, rassicurano, sorridono anche quando vorrebbero urlare. Ma la domanda che serpeggia tra reception e buffet delle colazioni è sempre la stessa: «Per quanto tempo possiamo farlo ancora?».

Perché il turismo, a Palermo, non è un optional: è il motore (spompato) dell’unica economia cittadina che ancora gira, tra mille buche e mille scippi. E se quel motore si ferma, non restano che i souvenir della retorica: le brochure patinate, le conferenze sulla bellezza, e le promesse sussurrate a ogni 19 luglio.

Davanti a questa violenza non si salva nemmeno la politica. L’assessore comunale, Fabrizio Ferrandelli, volto noto della politica palermitana, è finito contuso – e non metaforicamente – dopo essere intervenuto per difendere il titolare di un bar di via Alloro, zona che dovrebbe essere il salotto buono del centro storico e che invece, a quanto pare, è diventata un ring a cielo aperto.

 

Tutto è iniziato con una banale questione di resto non dato, trasformata in un assalto da parte di un manipolo di sei individui – due dei quali minorenni, perché a Palermo la criminalità fa apprendistato – che hanno preso a schiaffi e pugni il barista, il padre del barista e infine anche Ferrandelli. L’assessore passava di lì, ha provato a mettersi in mezzo e ha avuto in cambio una dose gratuita di violenza urbana. Il tutto nel pomeriggio, mica alle tre di notte.

 

Ora, va detto: la reazione istituzionale è arrivata. Il sindaco Lagalla ha espresso la sua solidarietà con parole ferme e anche un certo fair play. Il presidente della Regione Schifani ha parlato di «intolleranza crescente» e invocato un «impegno corale». Insomma, la città si agita. Le istituzioni parlano. Le forze dell’ordine si muovono. Ma Palermo resta lì, immobile, nella sua eterna contraddizione: città d’arte e di randellate, di street food e street fight.

La sensazione sempre più diffusa è che Palermo stia scivolando in un’insicurezza quotidiana e democratica, dove chiunque può essere aggredito, turista o assessore che sia. Nel mezzo, c’è il centrodestra, tornato a governare la città dopo anni di opposizione, convinto – almeno all’inizio – che sarebbe bastato un po’ di ordine e di decoro per rimettere le cose a posto. Spoiler: non è bastato.

 

Tra un’inchiesta giudiziaria e un caso di mala amministrazione, la giunta Lagalla si muove come un equilibrista bendato su un marciapiede sconnesso. Anche quando arriva il sostegno del Viminale – il ministro Piantedosi ha promesso più forze dell’ordine e una sua visita «in tempi brevi» – la percezione è quella di una città lasciata a se stessa, dove le istituzioni appaiono più affannate nel commentare le emergenze che nel prevenirle.

 

Del resto, la politica palermitana è ormai specializzata nel generare dichiarazioni perfette e soluzioni evanescenti. I comunicati si sprecano, le solidarietà si moltiplicano, ma nelle strade – quelle reali, non quelle degli uffici stampa – la gente continua a vivere in un misto di paura e rassegnazione. Il degrado non ha colore politico, ma a Palermo sembra avere un’incredibile capacità di resistere al cambio di sindaco, di giunta e di stagione.

 

E se i problemi della sicurezza vengono gestiti a colpi di emergenze e retorica, quelli strutturali – i rifiuti, il traffico, i cantieri eterni – restano come una tappezzeria cittadina, invisibile perché onnipresente. Anche questo governo comunale, come quelli precedenti, sembra incapace di affrontarli con visione. Palermo continua a essere una città dove si corre ai ripari dopo che tutto è già andato storto. E dove, nel frattempo, si aspetta l’estate successiva per parlare – di nuovo – di sicurezza, decoro, e legalità.

Una volta i turisti chiedevano: «Dove si mangia il miglior cannolo?». O, al massimo: «Vale la pena salire fino a Monte Pellegrino?». Oggi la domanda più frequente – nei gruppi Facebook, nei forum di viaggio, nei commenti su TikTok – è: «Ma è sicuro girare da soli a Palermo?». 

 

La violenza, ormai, corre anche sui social. Le testimonianze si moltiplicano: c’è chi racconta di essere stato scippato a due passi dal Teatro Massimo, chi ha ricevuto insulti e spintoni a Ballarò, chi ha visto scene da far west a piazza San Domenico. Gli utenti si scambiano consigli come in un corso di sopravvivenza urbana: «Evitate certe zone dopo il tramonto», «attenti agli scooter», «usate borse a tracolla, meglio se rinforzate».

La percezione del rischio è diventata virale. E in una città che vive – o vorrebbe vivere – di turismo, questo è un problema che non si può scrollare con una story. L’immagine di Palermo – quella che si è provato a costruire con anni di eventi, festival, itinerari Unesco e storytelling emozionale – rischia di sgretolarsi con un video da quindici secondi: uno scippo in diretta, un’aggressione registrata per caso, una recensione su TripAdvisor che inizia con «Bellissima città, ma…».

Alla fine, tutto si riduce a questo: Palermo è troppo bella per continuare a essere così difficile. E se non riesce a proteggere neanche chi la ama abbastanza da attraversarla a piedi, con il caldo di luglio e una mappa in mano, allora il problema non è solo di sicurezza. È di credibilità. Di visione. Di rispetto. Forse, per cambiare davvero, Palermo dovrebbe smettere di raccontarsi. E iniziare a difendersi.



Cronaca | 2025-12-11 09:08:00
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