In Sicilia, lo sappiamo, tutto cambia affinché nulla cambi. E se c'è un copione che si ripete con la precisione di un orologio svizzero, è quello delle inchieste giudiziarie che, ciclicamente, terremotano il sonnacchioso Palazzo dei Normanni. L'ultimo atto di questa commedia amara ha per protagonista Gaetano Galvagno, presidente dell'Assemblea regionale siciliana e, fino a poco fa, astro nascente di Fratelli d'Italia, pupillo di Ignazio La Russa e persino papabile per la poltrona di governatore. Nelle scorse ore, gli è stato notificato l'avviso di conclusione delle indagini, anticamera di una possibile richiesta di rinvio a giudizio. Le accuse? Corruzione e peculato. E qui, signore e signori, il confine tra l'istituzione e il "kebab con gli amici" si fa sottile, sottilissimo.
L'auto blu e il kebab
Dimenticate l'immagine aulica del presidente che si muove in auto blu per impegni istituzionali. Nelle mani di Galvagno, quel mezzo di rappresentanza si sarebbe trasformato in un taxi personale, una sorta di Uber di lusso a disposizione di un'allegra combriccola di parenti e amici. Sessanta viaggi in undici mesi, dall'1 gennaio al 2 dicembre 2024, senza che il presidente fosse a bordo. "Si appropriava dell'autovettura Audi A6, effettuando quotidianamente spostamenti per scopi personali propri, dell'autista e dei membri del gabinetto e della segreteria, ovvero disponendo che venissero trasportati soggetti non autorizzati per finalità extraistituzionali", scrivono i sostituti procuratori Andrea De Benedittisi e Andrea Fusco nell'avviso di chiusura indagini.
La fantasia, a quanto pare, non mancava. C'è la sorella di Galvagno (non indagata) che usa l'auto per fare shopping, passare dalla farmacia, comprare fiori e cibo. C'è la madre del presidente (non indagata) che ne usufruisce. C'è persino un collaboratore, Giuseppe Cinquemani (indagato), che la impiega per visionare un immobile da prendere in affitto. E, ciliegina sulla torta, in un paio di occasioni il veicolo avrebbe trasportato a casa l'eurodeputato e collega di partito Ruggero Razza, una volta persino con una "tale Elena" non meglio identificata (ma si sospetta Elena Pagana, moglie di Razza ed ex assessora regionale). Insomma, più che un'auto di servizio, un vero e proprio servizio "a domicilio", con tanto di fermata per il kebab.
Il "call center del potere" e la Lady Macbeth in tailleur
Ma l'auto blu è solo la punta dell'iceberg. L'inchiesta, che ha già coinvolto l'assessora al Turismo Elvira Amata , delinea un quadro di potere opaco e relazioni parallele , dove il favore è moneta politica e le intercettazioni sono, a modo loro, letteratura. A tessere la tela, come una novella Lady Macbeth in tailleur firmato , c'è lei: Sabrina De Capitani, ex portavoce di Galvagno e vera regista di questo "call center del potere". Si vanta di aver creato carriere, inventato politici, organizzato eventi, indirizzato fondi pubblici. Di essere, insomma, il "segreto del potere".
E i fatti sembrano darle ragione. Nelle carte della Procura, si scopre che la De Capitani, insieme a Galvagno, avrebbe spinto per finanziare le Fondazioni di Marcella Cannariato, con l'obiettivo di organizzare eventi che avrebbero generato benefici economici per entrambe le parti. Undicimila euro per un apericena, oltre 27mila per l'evento "La Sicilia per le donne" (con parte dei fondi dalla Fondazione Federico II, presieduta dallo stesso Galvagno). E poi, tramite leggi regionali, quasi 200mila euro tra il 2023 e il 2024 per un "Magico Natale" che, a detta degli stessi organizzatori, fu un vero flop nel 2023.
In cambio? La Cannariato si sarebbe messa a disposizione, promettendo un incarico legale alla cugina di Galvagno e favorendo la nomina del compagno di De Capitani nel Cda di Sicily By Car, società di famiglia. Un meccanismo oliato, dove gli eventi finanziati sarebbero serviti anche a far lavorare persone vicine a Galvagno.
Un quadro già visto
Per Galvagno, qualche buona notizia c'è: è caduta l'accusa di aver ricevuto un vestito pregiato e la messa a disposizione di un'auto a Milano come contropartita. "Registro con soddisfazione che sono state escluse tutte le presunte indebite utilità che avrei percepito a titolo personale", ha commentato.
Ma il sospiro di sollievo è ancora lontano. Restano le accuse di corruzione e peculato, e il partito, Fratelli d'Italia, osserva con glaciale attesa. Nessuna pacca sulla spalla, nessun comunicato a difesa. La linea è chiara: non si difendono, ma nemmeno si mollano. Per ora. Anche perché le intercettazioni inedite potrebbero continuare a inzuppare le prime pagine dei giornali.
E così, mentre Schifani, con l'aria severa del preside che ha scoperto che qualcuno copia, cerca di blindare la manovra estiva promettendo "niente mance" , la Sicilia si ritrova ancora una volta a fare i conti con un sistema che preferisce la retorica alla realtà. Un sistema dove la corruzione, per dirla con un altro articolo, avanza "non
nonostante i protocolli, ma grazie al fatto che nessuno li prende sul serio".
Il giudizio più severo, forse, non arriverà da un'aula di tribunale, ma dalla consapevolezza che a Palermo tutto cambia affinché nulla cambi. E che, ancora una volta, la politica è più brava a commentare le emergenze che a prevenirle. Con buona pace del kebab.
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