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19/08/2025 06:00:00

Si cuce la bocca con il fil di ferro. La protesta estrema nel CPR di Trapani

Un uomo di 38 anni per giorni non ha toccato cibo, portando avanti uno sciopero della fame che sembrava invisibile agli occhi di chi lo circondava. Poi ha raccolto un frammento di vetro e lo ha ingoiato. Infine ha preso un filo di ferro e si è cucito la bocca. Un gesto disperato, definitivo, per urlare silenziosamente la propria condizione.

L'uomo non era in carcere. Non aveva una condanna. Si trovava nel CPR di Trapani-Milo, il Centro di Permanenza per i Rimpatri, dove vengono rinchiuse le persone senza documenti in regola, perché immigrati o clandestini o ire. Non è un carcere, ma somiglia terribilmente a una prigione. Dentro, più di un centinaio di uomini e ragazzi attendono in stanze spoglie, senza attività, senza supporti adeguati, in una sospensione che logora corpo e mente.

Per l'uomo quei giorni sono diventati insopportabili. Dopo quindici giorni di sciopero della fame, il suo corpo ha ceduto. È svenuto, soccorso solo dagli operatori interni, senza che venisse chiamato subito il 118. Poi, davanti all’insofferenza e all’abbandono, ha cercato una via estrema: cucirsi la bocca per mostrare al mondo ciò che nessuno voleva vedere.

È stato Daniele Abate, il suo avvocato, a presentare un ricorso d’urgenza. La Corte d’Appello di Palermo, davanti ai referti medici e agli episodi autolesivi, ha stabilito che le condizioni del tunisino erano incompatibili con il trattenimento. “La libertà personale  non può essere trattata come un dettaglio amministrativo”, hanno scritto i giudici, ricordando che la salute e la vita vengono prima di ogni altra cosa. E così l'uomo è stato liberato, raggiungendo finalmente suo fratello in Italia, pronto ad accoglierlo e a dargli un tetto.

La sua non è una storia isolata. Dal CPR di Trapani, negli anni, sono uscite tante voci spezzate: giovani appena maggiorenni che ingoiano vetri, uomini che tentano il suicidio, altri che si cuciono le labbra per protesta. Dentro, mancano programmi, manca assistenza psicologica costante, manca la prospettiva. Ci si limita a trattenere, senza offrire nulla che somigli a un percorso.

Per chi guarda da fuori, spesso restano solo numeri: trattenuti, rimpatri, giorni di proroga. Ma dietro ogni numero c’è una persona, un volto, una vita che rischia di spegnersi nel silenzio. Oggi quell’uomo è libero. Ma quanti restano ancora dentro?

Ordinanza Accoglimento c.app Trattenimento by Anna Restivo 

 



Cronaca | 2025-12-05 09:06:00
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