Il Procuratore di Marsala, Asaro: “La legge antimafia è ancora efficace?"
La mafia cambia, si adatta, investe in supermercati, criptovalute e centri commerciali. E' fluida, non geolocalizzata. Ma lo Stato ha ancora le armi giuste per contrastarla?
È la domanda al centro dell’incontro “L’attuale legislazione antimafia è appropriata a contrastare la mafia?”, tenutosi nella sala conferenze del Museo Archeologico Lilibeo, nell’ambito della rassegna “Ricordando Paolo Borsellino – come seguire il suo esempio”.
A rispondere, con dati, storia e passione civile, è stato il Procuratore della Repubblica di Marsala, Fernando Asaro, che ha ripercorso l’origine e l’efficacia della normativa antimafia, con particolare attenzione all’articolo 416 bis del codice penale. Una norma nata dal sangue – quello di Pio La Torre e del Generale Dalla Chiesa – che oggi, più di quarant’anni dopo, si dimostra ancora attuale. Ma da sola, avverte Asaro, non basta.
Perché a fare la differenza, più delle leggi, è la coscienza collettiva. Quella dei cittadini.
Una norma nata dal sacrificio
Il Procuratore Asaro ha definito l’articolo 416 bis “una pietra miliare” della lotta alla mafia. Introdotto nel 1982, pochi giorni dopo l’uccisione del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, fu fortemente voluto da Pio La Torre, assassinato qualche mese prima. Senza quella norma – ha detto Asaro – oggi non si potrebbe nemmeno parlare di mafia in termini giuridici.
La legge definisce il reato di associazione mafiosa e i suoi scopi: guadagno economico, controllo del voto, dominio sul territorio. Una definizione che, nonostante il passare degli anni, resta ancora attuale e applicabile anche alle cosiddette “nuove mafie”, come quella nigeriana, riconosciuta ufficialmente dalla Cassazione nel 2023.
Prevenzione e giustizia: i pilastri del contrasto
Oltre al 416 bis, Asaro ha ricordato l’importanza delle misure di prevenzione patrimoniale e della legge sui collaboratori di giustizia, voluta da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1991. Strumenti che, insieme alle intercettazioni, hanno portato negli anni a centinaia di arresti nella provincia di Trapani e in tutta la Sicilia.
È anche attraverso queste misure che lo Stato ha potuto colpire la mafia nel cuore del suo potere: i soldi.
Ma il prezzo pagato è stato alto. Asaro ha ricordato il terribile caso del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un collaboratore di giustizia, ucciso per vendetta. Una tragedia che mostra quanto la mafia continui a essere brutale, anche di fronte a un bambino.
La vera sfida? La società civile
Secondo il Procuratore, però, il nodo centrale resta la responsabilità collettiva. Le leggi ci sono, gli strumenti anche. Quello che manca è la partecipazione attiva della cittadinanza.
“Le porte della Procura sono sempre aperte”, ha detto Asaro, “ma non c’è fila”. Le denunce spontanee da parte dei cittadini sono ancora troppo poche, e spesso la mafia viene ancora venerata, come mostrano intercettazioni in cui Matteo Messina Denaro veniva paragonato a un santo.
Serve quindi un cambiamento culturale profondo. Un “movimento morale”, per usare le parole di Paolo Borsellino, che coinvolga tutti. Perché – ha concluso Asaro – “non basta aver costruito un’autostrada della legalità: dobbiamo farne buona manutenzione, percorrerla ogni giorno”.
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