Sono lì da quasi tre anni i pali della luce del porticciolo di Marinella di Selinunte. Ma non sono mai stati accesi. Ci vorranno 35.000 euro di ulteriori lavori regionali per vedere finalmente la luce dei led. No, nessun altro corpo illuminante: non si tratta dell’installazione di nuovi pali. Sono sempre quei sette già esistenti, destinati ad accendersi a breve, dopo l’interessamento dell’assessore comunale Davide Brillo (FdI) presso la Regione Siciliana.
Certo, l’aggettivo “breve”, dati i tempi della pubblica amministrazione, si presta ad un’interpretazione un po’ più elastica di quella letterale. E si lega con gli altri termini descritti nei documenti ufficiali, che parlano di “lavori di manutenzione per il ripristino dell’illuminazione portuale e dei fanali (verde e rosso) di segnalamento ingresso porto”.
Termini curiosi: manutenzione e ripristino. Il primo dovrebbe riferirsi all’insieme di operazioni per mantenere qualcosa che già funziona. Il secondo a far sì che qualcosa torni ad essere ciò che era prima. Misteri del linguaggio burocratico.
Ma perché ci vogliono altri 35.000 euro, dato che i lavori erano già stati completati? La ragione risiederebbe nel fatto che, pur essendo presenti i cavidotti, mancavano i cavi elettrici necessari per l’alimentazione.
In ogni caso sarà un’illuminazione a metà, visto che invece il molo di ponente (quello a forma di L) resterà al buio. Il perché è legato al fatto che il porto di Marinella di Selinunte è abusivo. E infatti su quel molo non solo non è stato installato nessun lampione, ma non sono stati nemmeno adeguati i pontili, o montate le bitte per l’attracco delle barche. Tutto è rimasto come prima e oggi si ha un lato del porto sicuro e illuminato di fronte ad un altro, insicuro e buio.
Si dirà: ma com’è possibile? Chi avrà mai realizzato un porto abusivo? Chi avrà mai redatto un progetto con l’imbocco a scirocco, esposto all’ingresso di sabbia e posidonia? Nessuno.
Quello che tanti anni fa era nato come un frangiflutti per garantire la sicurezza dei pescherecci in uscita, pian piano diventò un porto, come se le diverse amministrazioni comunali nel corso del tempo avessero messo una roccia qui e un’altra là. Ecco che, arrivati ad un certo punto, le imbarcazioni che prima venivano attraccate in un molo aperto (poco distante, ormai usato per la passeggiata di turisti e vacanzieri), o tirate in spiaggia in caso di mare mosso, si trasferirono tutte nel “nuovo” porticciolo.
Lo racconta sui social Francesco Lipari, figlio dell’ex sindaco di Castelvetrano, ucciso dalla mafia nel 1980.
“Negli anni ’70, durante l’amministrazione di mio padre, Vito Lipari, c’era l’urgenza di garantire un’uscita sicura per le barche. Ma il contesto burocratico dell’epoca rendeva qualsiasi intervento sul porto estremamente complesso. Modificare il piano comprensoriale, necessario per opere strutturali significative, non era una soluzione immediata. E mio padre, uomo onesto, non nascose mai questa verità. Quello che non si racconta, anzi che si nasconde, è che il porto di Marinella fu costruito abusivamente, pezzo dopo pezzo, senza alcuna cognizione di ingegneria portuale e senza studi sulle correnti marine. Ogni generazione aggiungeva qualcosa, nel tentativo di migliorare la struttura, ma senza una visione complessiva. Il risultato è il porto che vediamo oggi, vittima di interventi disorganizzati che hanno contribuito ai problemi attuali, come l’insabbiamento e l’accumulo di posidonia”.
A proposito di posidonia. L’enorme cumulo estratto diversi mesi fa dai fondali del porto è ancora lì, abbancato a ridosso del molo di ponente. Difficile dire se potrà essere trasferito presso quelle piattaforme che la trasformano in compost spendendo circa 300.000 euro, oppure in discarica autorizzata, spendendo più del doppio. Intanto, sulla sua superficie stanno crescendo diverse piante, tra bottiglie di vetro, flaconi, piatti e bicchieri di plastica.
Egidio Morici