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24/08/2025 06:00:00

"Liberi di scegliere": la legge siciliana che sfida la cultura mafiosa

Quarant’anni fa l’Italia approvava la prima legge capace di colpire i patrimoni dei boss mafiosi, incrinando il potere economico della criminalità organizzata. Oggi, con Liberi di scegliere, la Sicilia introduce un nuovo strumento altrettanto rivoluzionario: una legge che non si limita a reprimere, ma che agisce sul piano culturale e familiare, sottraendo i figli ai clan e offrendo loro un destino diverso.

Secondo Antonello Cracolici, presidente della Commissione Antimafia regionale, questa è «la prima legge siciliana che combatte la cultura mafiosa alla radice, mettendo in discussione il mito della famiglia mafiosa e spezzando la catena generazionale della criminalità».

 

Le origini del modello: dal tribunale di Catania alla Sicilia

La legge nasce da un’intuizione del giudice Roberto Di Bella, oggi presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania. Applicata inizialmente nei contesti di ‘Ndrangheta calabrese, l’esperienza si è poi estesa in Sicilia, dimostrando che è possibile sottrarre i minori all’influenza criminale delle famiglie mafiose.

Il modello prevede, nei casi più gravi, anche la revoca della potestà genitoriale, ma soprattutto costruisce percorsi educativi, sociali e psicologici in grado di dare alternative concrete ai giovani coinvolti.

Come spiega Di Bella: «L’amore per i figli è la chiave di volta che ha consentito a tante donne di superare sentimenti atavici di rassegnazione. Anche tanti detenuti ci stanno incoraggiando, persino alcuni dal 41-bis».

 

I numeri di un cambiamento reale

La legge non è solo teoria: i dati raccontano un impatto concreto.

  • Oltre 200 minori coinvolti tra Calabria e Sicilia.
  • 34 donne che hanno deciso di allontanarsi dalle famiglie mafiose seguendo i loro figli.
  • A Catania, 7 donne su 8 sono diventate testimoni di giustizia.
  • In alcuni casi persino boss storici hanno scelto di collaborare dopo aver visto i loro figli intraprendere un percorso diverso.

Un progetto che, come lo definisce lo stesso Di Bella, rappresenta «una legge d’avanguardia e di speranza».

 

La rivoluzione istituzionale: un lavoro di rete

Uno degli aspetti più innovativi della legge è la sua capacità di obbligare la macchina amministrativa regionale a un coordinamento senza precedenti.

Ogni assessorato – dalla sanità all’istruzione, dai servizi sociali alla giustizia minorile – è chiamato a collaborare e condividere strumenti comuni.
Come ha sottolineato Cracolici: «Questa è una rivoluzione anche dal punto di vista amministrativo. Non basta un intervento isolato, serve una risposta integrata di sistema».

La procuratrice per i minorenni di Palermo, Claudia Caramanna, ha evidenziato i risultati di questo approccio: «Grazie al coordinamento siamo passati da 11 procedimenti nel 2022 a oltre 150 nel 2025. Finalmente c’è una sistematicità che affianca alla repressione anche la tutela delle madri che vogliono emanciparsi dalle logiche criminali».

 

Una sfida alla cultura mafiosa

La forza di Liberi di scegliere è nel suo attacco diretto a uno dei pilastri della mentalità mafiosa: la famiglia come strumento di potere e trasmissione di valori criminali.

Sradicare questo modello significa non solo salvare i figli dei boss, ma intaccare la reputazione stessa dei clan, che troppo spesso godono ancora di consenso anche tra chi non è mafioso.

«Questa legge serve a far sentire i boss sconfitti anche sul piano della reputazione» – ha dichiarato Cracolici – «perché la mafia non è solo violenza o denaro, è anche consenso sociale. Per questo serve una mobilitazione civile diffusa».

 

Oltre la Sicilia: verso una legge nazionale

La sfida ora è portare Liberi di scegliere oltre i confini regionali.
Cracolici e Di Bella hanno ribadito più volte che il progetto non può restare circoscritto alla Sicilia e alla Calabria: occorre una legge nazionale che offra a tutti i minori coinvolti nelle dinamiche mafiose le stesse opportunità.

Un’eventuale estensione nazionale avrebbe tre effetti fondamentali:

  • Uniformare i protocolli di intervento in tutto il Paese.
  • Garantire fondi adeguati e continuità alle azioni.
  • Rendere stabile e diffuso il cambiamento culturale.
  • Come ha affermato mons. Antonino Raspanti, presidente della Conferenza episcopale siciliana: «Non si tratta solo di garantire sostegno materiale, ma di costruire contesti educativi credibili e duraturi. Le resistenze non si superano con un intervento isolato».

     

    Liberi di scegliere non è una semplice legge, ma un cambio di paradigma nella lotta alla mafia. Se quarant’anni fa il colpo ai patrimoni segnò una svolta epocale, oggi la vera rivoluzione passa dai figli: liberarli dall’influenza dei clan significa minare alla radice la capacità della mafia di rigenerarsi.

    La strada è ancora lunga, mancano i decreti attuativi e serve una legge nazionale, ma i primi risultati dimostrano che è possibile.

    Il messaggio che arriva da Sicilia e Calabria è chiaro: la mafia non è un destino inevitabile. Si può scegliere un’altra vita.