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18/09/2025 06:00:00

Quanto è bella la Sicilia dei figli di ...

Chi l’ha detto che i giovani siciliani fuggono? Che l’isola è una terra di cervelli in fuga, di aerei presi all’alba con il biglietto di sola andata? È un mito, una leggenda metropolitana che non rende giustizia a una realtà molto più brillante e, se vogliamo, meritocratica.

Se guardi con attenzione la scena politica, ma anche quella imprenditoriale e professionale, scopri un fiorire di giovani talenti. Ragazze e ragazzi che, senza l’aiuto di nessuno, con la sola forza delle loro idee e la tenacia dei loro sogni, stanno scalando le vette del potere. Certo, magari si chiamano in un certo modo. Nomi importanti. Ma sono ragazzi come tutti gli altri, con l’unica differenza che hanno un cognome che, a pronunciarlo, suona come una garanzia, una specie di marchio di qualità.

Il caso più recente e, per certi versi, più emblematico, è quello di Serena Cardinale. Trentotto anni, architetto, con una laurea in ingegneria industriale e un’esperienza da dirigente alla Regione Lombardia. La sua nomina a capo di gabinetto vicario dell’assessore alle Attività produttive Edy Tamajo, arrivata il ventotto agosto, ha fatto storcere qualche naso.

Non tanto per il suo profilo professionale, che è indiscutibile, quanto per la sua storia familiare. Serena è infatti la figlia di Totò Cardinale, ex ministro, democristiano di ferro, fondatore di Sicilia Futura e, soprattutto, uno dei registi più influenti della politica siciliana. Un abile tessitore di alleanze, un consigliere ascoltato, un guru che, non a caso, ha tra i suoi protetti proprio l’assessore Tamajo. L’arrivo di Serena è stato descritto come un ritorno tecnico, una scelta professionale dettata dal desiderio di mettere le proprie competenze al servizio della propria terra.

Il padre, interpellato dai giornali, ha tenuto a precisare: «Non perché è mia figlia, ma lei è una ragazza di grandi qualità». Un’affermazione che, per quanto comprensibile, suona come un’involontaria ammissione. Perché se è vero che la ragazza ha qualità, è altrettanto vero che il suo cognome le ha aperto una porta che per molti altri giovani siciliani resta sbarrata.

La scelta di rientrare, mantenendo il posto da dirigente in aspettativa alla Regione Lombardia, è un’altra tessera del mosaico. Un «paracadute» che le permette di fare esperienza, accumulare titoli e relazioni, in vista di futuri incarichi ancora più prestigiosi, magari da direttore generale.

È la prassi, un copione che in Sicilia si ripete da decenni. I figli (e i fedelissimi) entrano negli staff, fanno esperienza, costruiscono una rete, e poi approdano a ruoli apicali. Un percorso che, a ben guardare, non ha nulla di meritocratico. È un sistema che si autoalimenta, dove il potere non si conquista ma si eredita. E dove l’unica innovazione consiste nel rinnovare le dinastie.

Quella di Serena Cardinale è solo l’ultimo capitolo di una saga che in Sicilia non passa mai di moda, dimostrando che la fuga dei cervelli, in alcuni casi, è solo un viaggio di andata e ritorno. Con il biglietto pagato, e il posto di lavoro assicurato, dalla famiglia.

Serena Cardinale è il «figlio di» che torna, Luigi Genovese è il «figlio di» che non se n’è mai andato. O meglio, che ha sempre saputo dove piazzarsi. Figlio d’arte per eccellenza, erede di una dinastia politica che a Messina ha fatto scuola, il ventinovenne Luigi è il nuovo presidente dell’Ast, l’Azienda siciliana trasporti. Una nomina che, se da un lato è stata accolta con la solita retorica del «ringiovanimento della classe dirigente», dall’altro ha scatenato la furia dell’opposizione.

Ma come, si chiedono in molti, un giovane con un curriculum politico, a capo di un’azienda che gestisce il trasporto pubblico dell’intera isola? La risposta, in Sicilia, è sempre la stessa: le logiche di spartizione prevalgono sul buon senso.

Luigi Genovese non ha certo un curriculum da manager dei trasporti, ma ha un cognome che vale più di mille master. È figlio di Francantonio Genovese, ex sindaco di Messina e uno dei baroni più influenti della politica di destra e sinistra (prima di essere condannato per l’inchiesta sui «corsi d’oro» della formazione). E non è un caso se la sua nomina è arrivata su indicazione della Presidenza della Regione, con il placet di Raffaele Lombardo. È una tessera di un patto politico che, come sempre, si gioca sulla pelle dei siciliani.

Non si tratta di casi isolati, ma di un vero e proprio ecosistema che si autoalimenta. La Sicilia è una terra fertile per i figli di, un arcipelago di dinastie politiche e professionali che si interconnettono, si scambiano favori e si piazzano a vicenda. L’elenco è lungo e trasversale, e abbraccia ogni settore.

Prendete l’assessorato alla Salute, per esempio. Qui troviamo la dottoressa Giorgia Iacolino, chiamata in comando all’osservatorio epidemiologico in qualità di esperta per il Pnrr. Il padre, Salvatore Iacolino, è un ex eurodeputato forzista e, guarda caso, il dirigente del dipartimento alla pianificazione strategica dello stesso assessorato.

E se pensate che questa logica si fermi alle stanze del potere politico, vi sbagliate di grosso. L’ereditarietà in Sicilia non conosce confini, neanche quelli dell’arte e della cultura. Ne è un esempio lampante la nomina di Alvise Casellati alla direzione artistica del Teatro Massimo di Palermo. Un nome che, nel mondo della musica, non è certo sconosciuto, ma che in molti conoscono per un altro motivo: è il figlio di Elisabetta Alberti Casellati, ex ministra e già presidente del Senato.

Ma se i «figli di» siciliani sembrano un’anomalia genetica del potere, c’è un caso che li supera tutti, che li ridicolizza e li rende quasi innocui. Il capolavoro assoluto, la dimostrazione che in questa terra non serve nemmeno esserci per fare carriera, è quello di Marta Fascina. Trentacinque anni, ultima «vedova» in vita di Silvio Berlusconi, imposta da Forza Italia come candidata in un seggio blindatissimo. Dove? A Arcore o a Cologno Monzese? No, a Marsala. Nel collegio che comprende l’intera provincia di Trapani.

Una terra bellissima, con i suoi ulivi, il mare, le saline, e un popolo che si è visto eleggere una deputata che non ha mai incontrato. Marta Fascina non ha mai messo piede in Sicilia, né prima né durante la campagna elettorale, né dopo. Non ha fatto un comizio, non ha stretto una mano, non ha visitato un’azienda. Non ha neanche risposto a una telefonata dei giornali locali.

E a giudicare dai registri di Montecitorio, ha collezionato un incredibile novantaquattro per cento di assenze. Praticamente, un record. I figli di siciliani, che perlomeno si sforzano di rientrare in patria, di presenziare a qualche sagra, di fare il minimo sindacale, dovrebbero andare a lezione da lei.

La Fascina ha dimostrato che in Sicilia, se sei il figlio di un certo padre, puoi anche fuggire. Ma se sei la moglie di un certo ex presidente del Consiglio, puoi anche non venire affatto.



Regionale | 2025-12-05 14:17:00
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