Si avvicina una data decisiva nel lungo calvario giudiziario della giornalista pugliese Marilù Mastrogiovanni, direttrice del giornale d’inchiesta Il Tacco d’Italia.
Mercoledì 8 ottobre 2025, davanti alla giudice Elena Coppola del Tribunale di Lecce, si terrà la discussione finale di due procedimenti riuniti in un unico processo che la vedono imputata.
La giornalista sarà difesa dall’avvocato Roberto Eustachio Sisto, dello studio FPS di Bari.
“Un processo alla libertà di stampa”
A pochi giorni dall’udienza, la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) e l’Associazione della Stampa di Puglia hanno espresso pieno sostegno a Mastrogiovanni:
“Siamo vicini a Marilù Mastrogiovanni e siamo sicuri che saprà dimostrare dinanzi ai giudici la bontà del suo lavoro e la sua buona fede, come ha fatto finora, vincendo o vedendo archiviate tutte le querele. Ma non possiamo che denunciare il calvario che i cronisti, soprattutto i freelance, subiscono in Italia a causa delle querele temerarie, una vera minaccia alla democrazia e alla partecipazione”.
Le querele temerarie – o “bavagli giudiziari” – sono infatti una delle armi più usate contro il giornalismo investigativo, con l’obiettivo di logorare economicamente e psicologicamente chi racconta verità scomode.
Dalle inchieste sul boss Potenza alla macchina del fango
Il caso nasce nel 2016, quando Il Tacco d’Italia pubblica un’ampia inchiesta sull’omicidio del boss Augustino Potenza, analizzando non solo la vicenda criminale ma anche il consenso sociale e politico che l’uomo aveva costruito intorno a sé.
Quell’inchiesta scatenò la reazione dell’allora sindaco di Casarano, Gianni Stefàno (Fratelli d’Italia), che rispose con una campagna pubblica contro la giornalista: decine di manifesti con il suo nome e il suo volto affissi in città, accompagnati da una raffica di querele presentate da lui e da alcuni assessori della sua giunta.
Un’azione che — come denunciarono la Fnsi e la stampa locale — rappresentava un grave attacco alla libertà di stampa, ma anche un pericolo concreto per la sicurezza della cronista, già nel mirino della criminalità locale.
A seguito delle minacce ricevute, a Mastrogiovanni furono assegnate misure di protezione tuttora attive. Eppure, in una drammatica inversione dei ruoli, oggi è lei a doversi difendere in tribunale per quegli articoli di inchiesta.
Un simbolo della battaglia per i cronisti locali
Nel tempo, la vicenda Mastrogiovanni è diventata un caso emblematico del giornalismo d’inchiesta nel Sud Italia, dove spesso chi indaga su potere e mafie si ritrova solo e senza tutele.
A ribadire il sostegno alla giornalista è anche l’Associazione Nazionale della Stampa Online (Anso), attraverso il presidente Marco Giovannelli:
“Serve un impegno collettivo per garantire che i cronisti possano lavorare senza paura. Difendere chi racconta la verità, soprattutto nei territori più difficili, significa difendere la democrazia stessa”.
L’Italia e il paradosso del “bavaglio giudiziario”
Il caso Mastrogiovanni torna a ricordare il ritardo del nostro Paese nell’adottare una legge efficace contro le querele temerarie, nonostante le raccomandazioni dell’Unione europea e delle organizzazioni internazionali per la libertà di stampa.
E mentre a Lecce si attende la sentenza, la storia di questa giornalista salentina — costretta a difendersi per aver fatto il suo lavoro — diventa ancora una volta il simbolo di una battaglia che riguarda tutti: il diritto dei cittadini a sapere e quello dei cronisti a raccontare.