Così funziona la rete del traffico di droga a Marsala
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Pescherie trasformate in centrali dello spaccio, appartamenti-bunker videosorvegliati, un allevatore settantenne con armi e cocaina nascosti tra gli arbusti, una squadra di giovanissimi pusher in azione. È la mappa del narcotraffico a Marsala che, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Palermo, garantiva soldi freschi alla famiglia mafiosa di Cosa Nostra.
All’alba di ieri la Polizia di Stato ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 27 persone – 16 in carcere e 11 ai domiciliari – indiziate di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, con l’aggravante di aver agito per agevolare Cosa Nostra, in particolare la famiglia mafiosa marsalese. In campo 200 poliziotti, 4 unità cinofile e 16 pattuglie dei Reparti prevenzione crimine di Sicilia e Calabria, con 20 perquisizioni tra Trapani, Marsala e Mazara del Vallo.
Secondo l’accusa, ricostruita nell’ordinanza firmata dalla DDA di Palermo, non c’era un solo gruppo, ma tre diverse associazioni che gestivano la cocaina come una vera catena di montaggio illegale: chi importava, chi distribuiva all’ingrosso, chi rivendeva al dettaglio nelle piazze di spaccio. Al vertice, a controllare e incassare la percentuale, ci sarebbe stato Francesco Giuseppe Raia, ritenuto capo della famiglia mafiosa di Marsala, costantemente informato sui traffici e indicato come beneficiario di una quota fissa dei proventi, “fonte primaria di sostentamento” per il sodalizio mafioso.
Il primo gruppo: l’allevatore di Contrada Ciavolo
Il primo blocco dell’inchiesta ruota attorno a Salvatore Donato, allevatore di Contrada Ciavolo, e al suo braccio destro Antonio Titone. Per gli inquirenti erano loro a gestire una fitta rete di corrieri e pusher tra Marsala e Mazara del Vallo, curando contabilità, recupero crediti e rapporti con i fornitori.
Nel settembre 2021 Donato viene arrestato in flagranza: in un’area rurale vicina alla sua proprietà la polizia trova tre armi – due revolver calibro 38 e una pistola semiautomatica con matricola abrasa – e circa 40 grammi di cocaina. Messo ai domiciliari, avrebbe trasformato casa propria in un ufficio del crimine, tra visite di acquirenti, riscossioni e minacce ai debitori.
Attorno a lui si muoveva una cellula mazarese, con – tra gli altri – Antonino Indelicato, Andrea Frazzetta, Antonino Gancitano e Pasquale Bianco, incaricati di custodire e smerciare la droga sul territorio. Figura chiave anche Marioara Tandara, la collaboratrice domestica di Donato, che secondo l’accusa non si limitava alle pulizie: gestiva chiamate, appuntamenti, contatti con i clienti e sollecitava i pagamenti.

La pescheria-crocevia e l’incendio del bar
Dalla filiera Donato–Titone emerge poi il ruolo di Vincenzo Sparla, inizialmente fornitore del gruppo. E' una vecchia conoscenza delle cronache giudiziarie. Pur agli arresti domiciliari, aveva l’autorizzazione a gestire la sua pescheria in via degli Atleti, a Marsala. È lì che, spiegano gli inquirenti, nasce un vero e proprio crocevia dello spaccio e degli incontri: capi-piazza, pusher, referenti di altri gruppi e lo stesso Raia.
Dopo un sequestro patrimoniale che gli fa perdere la pescheria, Sparla trasferisce la “centrale” a casa. In questa fase entrano in gioco il padre Gaspare Sparla (classe ’55), il cugino Gaspare Sparla (classe ’69) e viene contestato un episodio emblematico: l'attentato incendiario ai danni di un noto bar marsalese, il “Frency Caffè”, nel gennaio 2022. L’incendio, secondo l’accusa, viene ordinato da Vincenzo Sparla come ritorsione contro il titolare che si era rifiutato di assumerlo per alleggerirgli la misura restrittiva. A eseguire il rogo sarebbe stato Riccardo Giacalone, un consumatore indebitato costretto a “rientrare” bruciando il locale.
Parallelamente, il cugino Gioacchino Sparla avrebbe costruito un’ulteriore associazione dedita al narcotraffico, con basi operative tra Contrada Amabilina e via Mazara, case blindate, grate, telecamere e un flusso costante di cocaina e marijuana.

Il terzo gruppo: i calabresi, l’appartamento di via Angileri e i baby pusher
L’ultimo tassello è un'associazione “efficientissima”, quella del terzo gruppo, guidato – secondo l’accusa – da Francesco Dardo e Maurizio Rallo. Sono loro a fare il salto di qualità: dall’approvvigionamento locale al canale diretto con la Locride, territorio storicamente sotto influenza delle ndrine calabresi.
Grazie all’intermediazione dello storico narcotrafficante Giuseppe Scoma, il gruppo ottiene un vero e proprio accreditamento: forniture stabili, prezzi competitivi, contatti protetti. In questo quadro si muove Pasquale Bruzzese, originario della Locride, indicato come corriere di fiducia. Viene arrestato in flagranza nel marzo 2022 con un carico di oltre 2 chili di cocaina; secondo la ricostruzione, il gruppo aveva già acquistato in precedenza altri 3 chili e mezzo.

La base operativa è un appartamento in via Salvatore Angileri 44, a Marsala, trasformato in centrale dello spaccio quotidiano. Qui Dardo coordina una manovalanza giovanissima: Kevin Kledi Mancuso, Giuseppe Spanò, Alessio Frazzitta, Alessio Zizzo, Salvatore Fernandez, impegnati a rifornire le piazze di Marsala, Mazara e Trapani.
Attorno a Rallo si muovono anche il figlio Salvatore, la compagna Mariem Chinaoui e Sonia Bahi, incaricata – in un momento di allarme per possibili perquisizioni – di nascondere in casa un grosso quantitativo di cocaina spostato in fretta da un altro deposito.
Il gruppo può contare su una fitta rete di acquirenti e intermediari: a Marsala Giuseppe Barsalona e Biagio Romeo, a Mazara del Vallo Vito Giulietto e Giovanna Indelicato, a Trapani e dintorni Giuseppe Felice Beninati e Riccardo Anastasi, mentre Giuseppe Rinaudo tenta di allargare ancora i contatti con la Calabria.
I numeri dell’operazione e l’obiettivo della DDA
Nel complesso dell’inchiesta, oltre all’ordinanza eseguita ieri, sono già stati arrestati in flagranza 6 indagati e sequestrati più di 4 chili di cocaina. Per la DDA di Palermo, quei traffici non erano solo un enorme affare di droga, ma soprattutto la cassa continua della mafia marsalese.
Ricordiamo che per tutti gli indagati vale il principio della presunzione di innocenza.
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