Due giorni fa la Squadra Mobile di Palermo ha portato a segno una delle operazioni antimafia più imponenti degli ultimi anni, un intervento che ha scoperchiato la nuova geografia del narcotraffico siciliano e che, soprattutto, ha messo in luce come l’intero sistema avesse creato un asse diretto e iperattivo tra Palermo e Mazara del Vallo. È lì, lungo questo collegamento criminale, che si muoveva un flusso costante di hashish e marijuana, proveniente dalla Campania e dalla Calabria e distribuito capillarmente nelle piazze palermitane e in quelle della provincia di Trapani. Il blitz, con cinquanta persone coinvolte tra arresti, fermi e domiciliari, ha disarticolato una rete che sembrava aver raggiunto un livello di efficienza quasi industriale.
L’asse Palermo–Mazara: come si muoveva la droga
La retata ricostruisce una rete di traffico che, partendo dalla Campania, arrivava in Sicilia attraverso due direttrici principali: Da Napoli verso Palermo, con arrivi frequenti nel quartiere della Noce e consegne scaglionate nei centri nevralgici dello spaccio: Brancaccio, Sperone, Bonagia. Da Palermo verso Mazara del Vallo e la provincia di Trapani, dove la droga veniva ridistribuita attraverso una fitta rete di referenti locali.
Gli investigatori hanno documentato decine di viaggi: alcuni spostamenti trasportavano carichi da 2–5 chili per volta; altri, più rischiosi, superavano i 60 chili di hashish in un’unica tratta. Emblematico il caso del trasporto del 18 marzo 2023, quando un gruppo è stato fermato con 60 chili di hashish nascosti dentro una Fiat Panda modificata con un doppio fondo e accompagnata da una “staffetta” — un’auto di appoggio che aveva il compito di segnalare eventuali controlli.
A Mazara, riferiscono gli investigatori, il punto di riferimento era Giuseppe Focarino, che gestiva i contatti con Palermo e organizzava la distribuzione verso la provincia.
Le piazze di spaccio nel palermitano
Il cuore dell’organizzazione palermitana pulsava soprattutto nei quartieri di Brancaccio, Sperone e Bonagia, zone da sempre esposte alla presenza criminale e perfette per occultare un traffico costante di droga che, in alcuni periodi, superava i decine di chili per settimana. Le intercettazioni raccontano una quotidianità fatta di viaggi programmati, controlli sulle rotte, staffette che precedevano le auto cariche, raccomandazioni su strade alternative, orari, punti di consegna, indicazioni per evitare controlli e persino consigli tecnici su come caricare e scaricare i panetti in modo da non lasciare tracce sull’asfalto. Era un sistema altamente tecnico, collaudato, perfetto nel suo sincronismo: un modello che faceva apparire la distribuzione degli stupefacenti come una vera e propria attività commerciale.
Uno dei gruppi più attivi era quello radicato a Brancaccio, capace di garantire approvvigionamenti costanti dalla Campania e dalla Calabria, con carichi regolari di hashish e marijuana. A capo della rete, gli inquirenti collocano figure centrali come: Girolamo Federico, Ivan Rino Bonaccorso, Vincenzo Ruffano, Agostino Sansone
Il gruppo gestiva: i rapporti con i fornitori, i viaggi e la logistica, la divisone dei compiti tra i pusher, la custodia della droga, la ripartizione dei proventi.
Le intercettazioni documentano un’attività incessante: “Passa da dietro, è meglio”, dicono gli indagati durante uno dei viaggi, mentre un altro raccomandava: “Viaggiate senza soste, non dovete farvi notare”.
Un modello criminale “aziendale”: auto modificate, staffette e turni
Il sistema ricostruito dagli investigatori era altamente specializzato. La droga viaggiava: all’interno di auto modificate con doppi fondi, su vetture con serbatoi GPL adattati, capaci di nascondere fino a 40 kg, accompagnate da auto “pulite” che facevano da scudo ai controlli. Il ritmo dei rifornimenti era costante, tanto che un indagato si lamentava dei debiti accumulati per l’acquisto all’ingrosso: «Mi avete dato solo tre panetti, me ne avevate promessi diciotto», riferendosi ai pagamenti differiti per l’hashish arrivato dalla Campania. Le conversazioni registrate mostrano anche la pressione dei fornitori: «Ti ho detto di spedire i soldi!» — ammonivano i camorristi ai referenti palermitani — «Non puoi farci perdere tempo».
Il fronte antimafia: fermato il nuovo vertice della Noce
In questo contesto si inserisce il ruolo del mandamento della Noce, che stava attraversando una fase di riorganizzazione interna. L’indagine ha mostrato come alcune figure stessero cercando di ricostruire una struttura solida, capace di avviare nuove alleanze con altri mandamenti e di garantire una sorta di supervisione sulle attività economiche illegali, compreso il traffico di droga. L’aspetto più significativo è che questa ricostruzione avveniva proprio mentre il mandamento tentava di reinserirsi nel flusso degli stupefacenti provenienti dalla Campania, consapevole dell’importanza strategica di garantire entrate stabili e consistenti.
Secondo la Procura, il nuovo vertice stava ricostruendo una struttura solida, capace di mantenere rapporti con altri mandamenti e di gestire sia affari leciti che illeciti.
I fermati ritenuti figure apicali o di collegamento sono: Fausto Seidita, Salvatore Peritore, Cosimo Semprecondio, Calogero Cusimano, Pietro Di Napoli, Vincenzo Tumminia, Paolo Bono, Girolamo Quartararo, Dario Bocchino, Carlo Castagna, Benedetto Di Cara. Misure cautelari in carcere per: Antonino De Luca, Girolamo De Luca, Giuseppe Focarino, Antonio Mercurio. Arresti domiciliari per: Vincenzo D’Angelo. Il quadro che emerge è quello di una mafia che, pur avendo perso pezzi importanti, continuava a cercare di presidiare il territorio e di rientrare nel traffico di droga, fonte di introiti fondamentali.
Un sistema che reggeva un intero mercato
Le indagini mostrano un flusso di stupefacenti che arrivava fino a 400 grammi al giorno, poi suddivisi tra pusher e distributori locali. Il tutto avveniva attraverso un sistema di: consegne frazionate, turnazioni dei pusher, magazzini “sicuri”, vendita al dettaglio con incassi giornalieri che superavano, in alcune piazze, anche i 1.500 euro al giorno.
Il volume d’affari generato superava facilmente centinaia di migliaia di euro al mese, reinvestiti nel sostentamento degli affiliati detenuti e nelle attività di copertura.
Mazara, terminale dell’asse trapanese
Se Palermo era il cuore logistico, Mazara del Vallo ne era il terminale occidentale. Qui arrivavano le consegne destinate alla provincia, attraverso una rete di contatti che gestiva ricezione, catalogazione e smistamento degli stupefacenti. A Mazara il traffico seguiva ritmi meno serrati, ma con cautele ancora più marcate: punti d’incontro spostati all’ultimo istante, auto lasciate in strade secondarie, pedinamenti per verificare la presenza di forze dell’ordine. Una parte del mercato trapanese dipendeva interamente da questo collegamento con Palermo, e l’operazione ha permesso di mettere a fuoco quanto fosse ormai stabile e radicato. Il quadro emerso dall’operazione mostra un sistema dinamico, capace di adattarsi e di sostituire rapidamente gli uomini colpiti dai provvedimenti giudiziari. La droga arrivava in quantità tali da garantire incassi giornalieri significativi, reinvestiti nel sostentamento degli affiliati detenuti e nella gestione delle attività illecite.