È un PD che gioca a perdere e che lascia ai margini chi in quel partito ha speso tempo, risorse, competenze, voti.
Pietro Bartolo, già sindaco di Lampedusa, già europarlamentare, dice addio al partito che lui ha reso più forte e che ha contribuito ad avere un flusso di consenso.
Un consenso non strutturato, non fatto di lobby o di apparato, ma fatto di singole persone che hanno visto in Bartolo umanità: un medico prestato alla politica, giammai il contrario. Magari troppo autonomo, allora, per essere un vero democratico. Si sa, troppo concentrati a creare faide, correnti, scissioni.
L’addio
Lo strappo è avvenuto per un evento a cui Bartolo aveva messo anima nell’organizzarlo, in provincia di Siracusa, boicottato dagli stessi dem. Nulla di nuovo sotto il sole.
Quindi la decisione, dopo varie cose non andate bene, di dire addio al PD: Bartolo ha lasciato il ruolo nella segreteria regionale con delega all’immigrazione. Ha lavorato per la pace, cercando di unire le due fazioni del partito, chi è con l’attuale segretario Anthony Barbagallo e chi, invece, chiede, anche attraverso ricorsi, di stoppare questa segreteria.
Un lavoro che ha messo in campo ma che non ha trovato apertura da nessuna delle due parti: le spaccature continuano ad esserci e il partito è in continuo frazionamento, troppo impegnato a fare comunicati sulla questione morale che avviluppa l’attuale governo regionale di centrodestra, che a cercare di stoppare le faide interne.
Il PD che non cambia
L’addio di Bartolo pesa sul partito e su moltissimi iscritti che vedono in quell’uomo un modo vicino alla gente di esercitare la politica. Il paradosso è che dentro al PD non pensano nemmeno di recuperare chi ha deciso di abbandonare e che ha portato consenso: ultime europee, quasi 45 mila preferenze.
Bartolo è uno che fermo non ci sta: gira l’Italia e l’Europa portando la sua esperienza in giro, parlando di immigrazione, di chi ha salvato, di chi ha visto morire. Stimolando e sensibilizzando le istituzioni: senza un’Europa che si fa carico del problema immigrazione, nessun Paese potrà sopportarne il peso.
Lascia, quindi, ogni incarico ma resta un attivista, con gli occhi di chi sa che per fare politica serve un contenitore. E con grande lucidità sa pure che nessun campo largo potrà vincere senza numeri importanti.
Il futuro
Pietro Bartolo ha un ottimo rapporto in Sicilia con Davide Faraone; già in passato ci sono state manovre per tentare una candidatura alle europee nel contenitore renziano. Tra un dialogo e un altro è possibile pure che Bartolo possa essere il candidato alla presidenza della Regione, ma anche qui il problema è sempre quel campo largo con troppi aspiranti leader.
A Catania i segretari regionali progressisti si sono riuniti: il titolo dell’evento, “Cambiamo la Sicilia”, ha avuto un buon numero di partecipanti, addetti ai lavori. Manca il popolo.
Il segretario regionale Anthony Barbagallo, nella sua relazione, ha parlato di “questione morale, enorme e pesantissima, che ha travolto il centrodestra siciliano e il governo Schifani. Più volte abbiamo lamentato una condotta politica da parte del governo contigua al malaffare, con faccendieri e intermediari discutibilissimi che entrano ed escono dalle stanze del comando della Regione siciliana. Le indagini della Procura di Palermo hanno aperto il vaso di Pandora, dove l’interesse pubblico si piega a quello del privato. Dove la sanità è solo un favore da scambiare. In cui, ancora, si è costruito un partito personale fondato solo su un sistema di influenze malato. In questo senso, Cuffaro che frequentava con disinvoltura l’anticamera del presidente della Regione era un messaggio chiarissimo per tutti: dentro e fuori il palazzo”.