Pendolaria 2025, Sicilia maglia nera del trasporto ferroviario. Legambiente: «Il Ponte sullo Stretto drena risorse alle vere priorità»
Il Ponte sullo Stretto come “pozzo dei desideri senza fondo”, mentre il trasporto pubblico regionale siciliano continua a scontare ritardi, interruzioni e carenze strutturali che durano da oltre un decennio. È il quadro allarmante che emerge dal 20° Rapporto Pendolaria di Legambiente, presentato con un focus specifico sulla Sicilia.
Secondo Legambiente, le scelte infrastrutturali degli ultimi anni risultano fortemente sbilanciate: 15 miliardi di euro destinati a poco più di tre chilometri di ponte, mentre con un terzo di quella cifra si stanno realizzando 250 chilometri di nuove linee tranviarie in undici città italiane. Una sproporzione che pesa soprattutto su territori, come la Sicilia, dove le linee ferroviarie esistenti sono spesso incomplete, lente o addirittura interrotte.
«Mentre vengono destinati 1,2 miliardi dal Fondo di Sviluppo e Coesione al Ponte sullo Stretto – dichiara Tommaso Castronovo, presidente di Legambiente Sicilia – restano aperte ferite storiche come la Catania–Caltagirone–Gela, interrotta dal 2011, e la Palermo–Trapani via Milo, chiusa dal 2013. Collegamenti fondamentali fermi da oltre dieci anni».
I paradossi della rete ferroviaria
Il Rapporto Pendolaria segnala anche situazioni al limite dell’assurdo, come sulla linea Siracusa–Ragusa–Caltanissetta, dove i nuovi treni Blues provocano una rapida usura delle rotaie, con potenziali rischi per la sicurezza. Da quasi cinque mesi i pendolari sono costretti a viaggiare su bus sostitutivi, aggravando tempi di percorrenza e disagi.
La rete ferroviaria siciliana resta per l’85% a binario unico e solo per poco più del 54% elettrificata. La flotta regionale conta 115 treni, meno della metà rispetto a regioni come Piemonte e Campania. Se l’età media dei convogli Trenitalia è di 11 anni, quelli della Circumetnea superano i 34 anni.
Investimenti regionali insufficienti
Altro nodo critico è la spesa della Regione Siciliana per il servizio ferroviario. Dal 2020 al 2024, la quota di bilancio regionale destinata al trasporto ferroviario si è attestata in media su un misero 0,35%, ben lontana dagli obiettivi della riforma Bassanini che prevedeva un ruolo più attivo delle Regioni nel potenziamento del servizio.
Nel 2024 i viaggiatori giornalieri sono stati 53.800, in lieve calo rispetto al 2023. Numeri che confermano l’incapacità del sistema ferroviario di attrarre nuovi utenti e di sottrarre traffico al mezzo privato, con conseguenze ambientali e sanitarie sempre più evidenti.
Linee dimenticate e cantieri infiniti
Tra le infrastrutture ancora in attesa di finanziamenti figurano la velocizzazione della Siracusa–Ragusa–Gela, per cui mancano 200 milioni di euro, e il ripristino della Caltagirone–Gela, con un fabbisogno residuo di 106 milioni. Su quest’ultima linea, il progetto prevede solo un ammodernamento minimale, senza elettrificazione né aumento della velocità commerciale, ferma a 42 km/h. Non va meglio sulla Piraineto–Castelvetrano–Trapani, riaperta nel 2025 dopo un anno e mezzo di chiusura ma segnata da continui disservizi e cancellazioni. Restano inoltre fermi i lavori sulla Alcamo–Trapani via Milo, chiusa dal 2013.
Mobilità urbana: luci e ombre
Sul fronte urbano, sono finanziati importanti interventi tramite PNRR e altri fondi, come l’estensione della metropolitana di Catania e il sistema tranviario di Palermo. Tuttavia, anche qui emergono criticità, ritardi e il rischio di reti “monche”, come nel caso della cancellazione di fatto della tratta centrale del tram palermitano.
«Continuare a rinviare o definanziare gli investimenti sul ferro – conclude Castronovo – significa scaricare i costi della mobilità sulle persone, non solo in termini economici, ma anche ambientali e sanitari».
Un messaggio chiaro: prima delle grandi opere simboliche, la Sicilia ha bisogno di treni che funzionano, linee complete e servizi affidabili. Tutto il resto rischia di restare, appunto, un ponte nel deserto.