Quantcast
×
 
 
14/06/2013 04:41:32

Mafia. D'Alì, chiesti 7 anni e 4 mesi. Golem, teste ritratta

 La pena è ridotta di un terzo rispetto alla previsione edittale di 11 anni perchè, appunto, con l'abbreviato è previsto uno sconto di pena. Il processo proseguirà il 21 giugno con l’intervento di altre parti civili e le difese. La sentenza è attesa dopo il 5 luglio. Questa la nota dei legali di D'Alì: "Per le stesse conclusioni del pm - scrivono Gino Bosco e Stefano Pellegrino - circa il riconoscimento da parte della Dda - Procura di Palermo che 'nessuna condotta concreta, effettiva e fattuale agevolatrice dell’associazione mafiosa' è stata accertata a carico del Sen. Antonio D’Alì, e considerata la documentazione da noi prodotta rispetto alle generiche contestazioni mosse, oggi ci saremmo attesi una coerente richiesta di assoluzione, tenuto anche conto degli indirizzi certi della giurisprudenza consolidata negli anni sul tipo di reato ipotizzato. Fino ad oggi per ogni addebito ascritto al nostro assistito, abbiamo prodotto documentazione di fatti concreti e riscontri positivi (vedi ad esempio: Caserma San Vito Lo Capo, Calcestruzzi Ericina, Sodano, America’s Cup, Zangara… ect) che escludono qualsivoglia addebito di reato del Senatore D’Alì; per questo abbiamo chiesto e torneremo a chiedere al Giudice la piena assoluzione del Senatore. Ci attendevamo che a queste coerenti conclusioni fossero pervenuti gli stessi pm che, lo ricordiamo, in precedenza e per i medesimi fatti, avevano chiesto per ben due volte l'archiviazione del procedimento. 'Assoluzione perchè il fatto non sussiste': questa è la naturale e inevitabile richiesta assolutoria che avanzeranno i difensori del Sen. D’Alì a dispetto della richiesta di condanna, oggi formulata dal Pubblico Ministero. Il senatore D’Alì non si è limitato fin’oggi a semplicemente respingere l’accusa di essere un concorrente esterno di Cosa nostra, ma ha processualmente e positivamente provato la totale estraneità ai fatti contestatigli". 

09,00 - E' il giorno della richieste delle pene per Antonio D'Alì. Il Senatore del Pdl, trapanese, è imputato davanti al Gup di Palermo, Giovanni Francolini, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. 

Nelle ultime due udienze hanno parlato i pubblici ministeri, Guido e Tarondo, che oggi termineranno il loro intervento e formuleranno le richieste di pena. Poi, la parola passerà agli avvocati di D'Alì, Bosco e Pellegrino, per le loro arringhe. Infine, probabilmente entro il 2013, la sentenza.  Nell'ultima udienza il Pm Andrea Tarondo, si è soffermato in particolare su tre episodi che coinvolgono il parlamentare: la vicenda del trasferimento dell'ex prefetto di Trapani Fulvio Sodano, la cessione gratuita ai Messina Denaro dei terreni di contrada Zangara di Castelvetrano, per un valore di circa trecento milioni di lire, e l'interessamento in favore dell'imprenditore legato a Cosa Nostra Antonino Birrittella (oggi collaborante) per far sì che un immobile di quest'ultimo venisse dato in locazione all'Arma per utilizzarlo come sede della stazione dei carabinieri a San Vito Lo Capo. "D'Alì mi chiese anche di organizzare un bel rinfresco e predisporre in omaggio le insegne della caserma. La cerimonia di inaugurazione si svolse in sua presenza, di un generale dei Carabinieri, del sindaco e altre autorità", ha detto ai pm Birrittella. Secondo l'accusa, D'Alì, quando era sottosegretario agli Interni, si sarebbe mosso per trasferire da Trapani ad Agrigento il prefetto Sodano, poco dopo che questi aveva sventato il tentativo di Cosa Nostra di riappropriarsi di un bene confiscato al boss Vincenzo Virga: la "Calcestruzzi ericina". I legali del senatore Antonio D'Alì - gli avvocati Stefano Pellegrino e Gino Bosco - affermano che "gli argomenti trattati dai pm, Paolo Guido e Andrea Tarondo, nella requisitoria sono gli stessi di quelli dell'ultima richiesta di archiviazione avanzata al gup".

GOLEM. Come indagata di «reato connesso», si era avvalsa della facoltà di non rispondere. Poi il procedimento è stato archiviato, adesso è testimone, costretta a rispondere,e  ha ritrattato le dichiarazioni fatte agli inquirenti nel maggio 2012. Protagonista, nel processo al boss mafioso Matteo Messina Denaro e a 12 suoi presunti fiancheggiatori, è stata la 33enne palermitana Giovanna Micol Richichi, moglie di Giuseppe Biondino, figlio di Girolamo, in carcere per mafia dal giugno 2010. Come ha fatto il rilevare il pm Marzia Sabella, un anno fa, la Richichi aveva dichiarato agli inquirenti di avere visto, nella sua abitazione, due «pizzini» con messaggi di Messina Denaro al marito. Dopo essere stata ammonita dal presidente Sergio Gulotta, che ha ricordato alla teste, che «la legge punisce i testimoni falsi o reticenti», la donna si limitata a dire: «Si, ho visto i bigliettini, ma non voglio aggiungere altro». Ha, quindi, affermato che dopo la sua decisione di pentirsi ha ricevuto «minacce di morte», mentre ad un gazebo dell'abitazione dei genitori è stato appiccato il fuoco. Il pm, chiedendo l'acquisizione del verbale d'interrogatorio del 9 maggio 2012, le ha ricordato quello che aveva detto. E cioè che in pizzino Messina Denaro appoggiava il progetto del marito di diventare il capomafia del quartiere San Lorenzo, mentre in un altro lo invitava alla prudenza («Non fare come Sansone che morì con tutti i Filistei»).