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20/03/2019 06:00:00

Trapani e Nicola Badalucco, lo sceneggiatore dimenticato che inventò "La Piovra"

 Per Nicola Badalucco la parola Trapani non era una voce come le altre. Ogni volta che    pronunciava il suo  nome,  gli occhi tradivano un sentimento a metà fra la tenerezza e la rabbia.

Un amore fiero  e disperato.  Come tutte  le passioni non corrisposte.  Un luogo della memoria popolato dalla  struggente delusione di ritrovare nella sua Itaca, le irrisolte  questioni di sempre: la mafia, i circoli esclusivi,  gli sportelli bancari infettati dalla  criminalità, la politica corrotta, la cultura dell’appartenenza.

Le stesse ragioni  che a 24 anni lo spinsero a Roma alla ricerca di altri spazi: la redazione del quotidiano L’Avanti (fu inviato al processo per l’omicidio del sindacalista Salvatore Carnevale), l’amicizia con Pietro Nenni, la scrittura per il cinema. L’urgente desiderio di rappresentare   i sogni e gli incubi di una Italia minore assediata dagli spettri del malaffare. Un visionario attento e scrupoloso che  ha reso immenso il particolare traducendo i sentimenti in indelebili pagine del Novecento. Il debutto   che ha segnato la sua carriera  ha il nome di Luchino Visconti, per il quale  scrisse la sceneggiatura di “La caduta degli dei”  che nel 1970 ottenne una nomination all'Oscar. Dopo la tragica saga familiare tedesca ambientata durante l'ascesa del nazismo, la collaborazione e l'intesa artistica con Visconti continuarono con  Morte a Venezia (1971), di Thomas Mann.  Così raccontava  Badalucco il suo primo incontro col maestro. “Un giorno  al telefono  un voce mi fa: Sono Luchino Visconti  e desidero parlare con Nicola Badalucco. E  io che credevo si trattasse di uno scherzo di un collega del giornale ho buttato giù la cornetta  dopo una sonora risata.  Pochi minuti dopo era ancora lui: Evidentemente è caduta la linea, sono Visconti e  vorrei incontrarla. Il giorno dopo ero a casa sua, a pranzo . Eravamo   seduti da un capo all’altro di un tavolo lunghissimo, e non ci siamo potuti scambiare nemmeno una parola. Alla fine, lui si è avvicinato e dopo una conversazione  di due ore è nato il progetto  della Caduta degli Dei”. Confermando il suo interesse e l'inclinazione verso film dal respiro epico e storico, Badalucco ha firmato capolavori come  “L'Agnese va a morire” e “Gli occhiali d'oro” di Montaldo, “Bronte cronaca di un massacro” di Vancini, “La tenda rossa” di Kalatozov, “Un uomo in ginocchio” di  Damiani,  “Libera, amore mio” di Bolognini, “Io e il duce” di Negrin, e tanti altri.  Per oltre dieci anni  ha  insegnato  al  Centro sperimentale di cinematografia di Roma  e al DAMS di Bologna.   E’ stata  “La Piovra” però a legarlo più di  tutti a Trapani. Lo svelamento di un sistema  di complicità fra la borghesia e la mafia che nessuno prima di lui aveva osato  descrivere. La narrazione di una città  elaborata da un esule disincantato dai coinvolgimenti emotivi di chi resta, ispirata dalla collaborazione e dall’amicizia personale fra lo sceneggiatore, il giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto e  il vice questore Boris Giuliano, entrambi   uccisi da Cosa Nostra.    La massoneria deviata,  le banche  dei soldi sporchi, i giudici corrotti, non erano   solo il presagio di  un raffinato intellettuale siciliano; c’era dietro, invece, un lavoro accurato  di ricerca e  di  consulenze, la ricostruzione di una immagine spietatamente vera  di una provincia  nascosta dalla  mafia  per meglio gestire traffici e connivenze occulte. ”Subito dopo la prima puntata, il mio cognome  è  stato all’ordine del giorno del direttivo di un circolo trapanese, successivamente rivelatosi  vicino alla P2.  Hanno continuato a chiedersi per settimane intere chi fossero i mandanti della mia  sceneggiatura. Chi mi aveva ordinato di scrivere “La Piovra”. Chi erano i miei parenti  più prossimi; insomma a chi appartenevo. E attorno un  silenzio surreale”. Così  sottolineava Badalucco, pochi anni dopo la messa in onda dello sceneggiato, il rancore per non  avere raccolto la solidarietà e lo sdegno della società civile, dei magistrati, degli avvocati, degli imprenditori. Tutti presi, piuttosto, dalla smania di   prendere le distanze da quella Trapani  “inventata solo per procurare un danno di immagine” al paradiso in terra. Sì, il paradiso degli sportelli bancari (negli anni 80 più di quelli svizzeri), del traffico della droga, dei colletti bianchi. E non è un caso che pochi  mesi dopo la città sarà  percorsa da una serie di scandali che paleseranno   la profezia della Piovra:  un giudice  in galera per corruzione, una loggia massonica coperta (il circolo Scontrino), banchieri  indagati. “Era fiction, ma c’era anche qualche possibilità di identificazione. Una spinta in più nata dal  desiderio di raccontare rabbiosamente la devastazione in cui era  precipitata la   Trapani  che  ho tanto amato e che appartiene ai miei ricordi. Una denuncia   rivolta ai miei concittadini per  sottolineare un fenomeno, la mafia,  che si ostinano ancora oggi a considerare marginale”. Nicola Badalucco nei suoi ultimi anni di vita si considerava con dolore  un non trapanese. Un distacco che  continuava a fargli male. “E’ una constatazione  amara.  Oggi ho un rapporto vivo con le pietre, con i volti. Per il resto  qui sono considerato un estraneo.  La sua  complicità con il degrado etico e morale di questi anni mi  spezza il cuore, nonostante il legame affettivo sia rimasto fortissimo. Qui ho ancora la casa dei miei genitori, una sorella che amo. Mi sento, e non per colpa mia, una specie di forestiero che torna un mese l’anno  nel suo paese”.  Così Nicola Badalucco raccontava  nella sua ultima intervista il  rapporto con la  città. Un amore schiacciato dalla indifferenza.  Spezzato  dall’accusa dei salotti  buoni di  avere smosso lui le acque della Piovra. Si è portato dietro  il rimorso di non   essere stato considerato  a pieno cittadino di Trapani. Se n’è andato quattro anni fa. Senza che   nessuno gli abbia mai chiesto scusa per la colpevole dimenticanza.

Giacomo Pilati  la Repubblica 13 marzo 2019