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28/01/2022 06:00:00

Come si scioglie un Comune per mafia / 5. L'accanimento giornalistico

Tp24 sta raccontando, in questi giorni, le vicende che hanno portato allo scioglimento per mafia del Comune di Pachino. Si tratta di una vicenda particolare, perchè abbiamo visto all'opera una campagna politica, supportata da certa stampa, che hanno portato allo scioglimento per mafia di un Comune dove, alla fine, mancavano però secondo il Tribunale, i collegamenti proprio tra Cosa nostra e le istituzioni. Qui la prima puntataqui la secondaqui la terza. 

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Ieri abbiamo raccontato dello scontro mediatico tra il giornalista Paolo Borrometi, autore di numerosi articoli con "scoop" sui rapporti tra mafia e politica al Comune, e l’allora sindaco di Pachino Roberto Bruno.

Passano due mesi ed il giornalista torna alla carica con un nuovo articolo in cui sono ribadite le accuse che si intesta con le sue inchieste ma che, invero, saranno i riscontri delle indagini degli inquirenti che porteranno curiosamente ai capi d’imputazione attribuiti a Salvatore Giuliano e alle persone a lui vicine. Accuse su cui fa leva invocando la necessità di sciogliere per mafia il comune di Pachino. 

Insistendo sull’investitura di Antonio Trigila alla reggenza tra Pachino e Portopalo  conferita a Salvatore Giuliano che, come abbiamo visto, è risultata essere falsa, Borrometi nell’articolo del 23 ottobre 2017 dal titolo “Pachino, dalle estorsioni di Giuliano al locale gratis per il consigliere Spataro”, ribadisce: «Salvatore Giuliano. È lui il “dominus” di Pachino (conosciuto come il boss “sdentato”), riconosciuto come storico capoclan, oggi è, dei personaggi più carismatici del sodalizio, l’unico in libertà». Per la prima volta sulla stampa e per la prima volta nell’ambiente pachinese, Salvatore Giuliano viene identificato come il boss “sdentato”. Il dibattito non è altissimo, eh. Nel corso delle udienze del procedimento per il reato di minacce aggravate dal metodo mafioso e tentata violenza privata, Giuliano nel dubbio gli rende il colpo definendo a sua volta Borrometi “un vignettista”.

Borrometi insiste sulle estorsioni del clan attraverso la società “La Fenice” e punta il dito sulle provvigioni al 3 percento che, secondo la sua tesi, il clan pretendeva dalle produzioni dei prodotti ortofrutticoli al loro trasporto. Per la difesa degli imputati, il 3 percento era la percentuale che la società “La Fenice” avrebbe lecitamente richiesto per la mediazione tra i produttori e i commercianti dei prodotti ortofrutticoli sull’importo delle partite.

Sulla società “La Fenice”, Borrometi scivolerà in un’altra inesattezza, diciamo. Nell’articolo titolato “Dal consiglio comunale alla mafia, passando per società ed attentati: ecco cosa accade a Pachino” dell’8 gennaio 2018, Borrometi scriveva: 

«Il capomafia Salvatore Giuliano uscì dalle patrie galere, a seguito di condanne per mafia, nel maggio del 2013. Nel settembre dello stesso anno, il mafioso Turi Giuliano insieme a Peppi Marcuotto (Giuseppe Vizzini) diventarono soci in affari, costituendo una società agricola, “La Fenice srl”. Per evitare di risultare loro i soci, intestarono la società ai due figli: Gabriele Giuliano (figlio del capomafia Turi) e Simone Vizzini (figlio di Peppi Marcuotto). La società, inizialmente, servì per assumere come (umili!) operai i due genitori, così da percepire reddito senza risultare come proprietari. Successivamente la società agricola “La Fenice srl” è servita anche per realizzare alcune estorsioni, seppur indirette. Si rinsalda così un rapporto storico di amicizia tra Salvatore Giuliano e Peppi Marcuotto, insieme alle loro famiglie ed anche ai fratelli Aprile, braccio armato del clan e tramite per le estorsioni del capomafia Giuliano».

Come abbiamo potuto accertare in sede dibattimentale, una volta tornato in libertà, Salvatore Giuliano inizia a lavorare come dipendente in un primo momento presso una società di commercializzazione di prodotti agricoli e poi presso “La Fenice”, società costituita da Simone Vizzini (figlio di Giuseppe) e Salvatore Spataro. I rapporti tra i due soci, Simone Vizzini e Salvatore Spataro, si sfaldano e Salvatore Spataro cede le proprie quote a Gabriele Giuliano figlio di Salvatore. Nel corso del suo esame, Gabriele Giuliano - che all’epoca dei fatti svolgeva attività di barman - ha dichiarato che giunse alla determinazione di acquisire le quote della società “La Fenice” quando venne a sapere dal padre che, di lì a poco, la società “La Fenice” si sarebbe sciolta per i dissidi interni tra la compagine sociale e, di conseguenza, il padre sarebbe potuto rimanere disoccupato. Accusati di intestazione fittizia, Gabriele Giuliano e Simone Vizzini vengono assolti con sentenza in primo grado.

Chi sono i fratelli Aprile per Paolo Borrometi?

Ritornando all’articolo del 23 ottobre 2017, Borrometi scriveva: «Giuliano, come più volte abbiamo sottolineato, si serve di “picciotti” collaudati, già più volte in galera. Oggi alle dirette dipendenze del boss, nella linea di comando, un ruolo fondamentale lo rivestono – appunto – i fratelli Aprile, Giovanni e Giuseppe, ed ultimamente anche Claudio». Ecco chi sono per Paolo Borrometi i fratelli Aprile, fratelli ai quali attribuiva fatti criminosi precisi ad esempio il caso del terreno verso Isola delle Correnti adibito a parcheggio e dell’incendio di cui i fratelli Aprile saranno chiamati a rispondere in “Araba Fenice”. Il 9 agosto 2017 Borrometi scriveva infatti: «Come ogni anno in primavera, poco prima della stagione estiva, gli Aprile – per conto di Giuliano e del clan – si recano da diversi proprietari terreni per “affittare” (l’eufemismo è d’obbligo) le loro proprietà e trasformarli in parcheggi. Una famiglia, quest’anno, si è rifiutata di concedere, come accaduto invece nel corso delle precedenti stagioni estive, i propri terreni per gestire direttamente i parcheggi. Gli Aprile, al rifiuto della famiglia, li minacciano ed affermano “o noi o nessuno”. Pochi giorni dopo, casualmente, la loro abitazione di campagna andò in fumo, avvolta in un misterioso incendio di origine dolosa».

La storia è questa, però La famiglia Lupo era proprietaria di un terreno di circa 6.000 mq in prossimità della località balneare Isola delle Correnti che, fino al 2017, i fratelli Aprile avevano adibito a parcheggio abusivo senza corrispondere alcuna somma ai Lupo. Nel corso del 2017, il figlio Corrado insieme al cugino Angelo Di Grande, avviavano l’iter per regolarizzare il parcheggio e ottenere le autorizzazioni dal Comune di Portopalo. Di questo piano veniva informato Giuseppe Aprile dal padre di Corrado, Antonio Lupo, la domenica delle Palme durante un incontro casuale. Per ritorsione, i fratelli Aprile avrebbero incendiato l’abitazione dei Lupo a Portopalo di Capo Passero in contrada Cuffara. Tuttavia, non è emerso in giudizio alcun elemento a collegare con certezza i fratelli Aprile con l’attentato incendiario all'avvio dell’attività di parcheggio, esattamente come non è emerso che l’indotto derivante dalla gestione del parcheggio abusivo finisse nelle casse del clan Giuliano. Infatti, i fratelli Aprile vengono assolti per entrambi i capi di imputazione.

Altro articolo è pubblicato il 14 luglio 2017: “Pachino come Napoli, escono dal carcere i ‘fratelli-delinquenti’ Aprile: scatta la festa con i fuochi d’artificio…”. A seguito della pubblicazione e condivisione sui social di quell’articolo, interviene Corrado Romano, lontano parente dei due, scrivendo all'autore dell'articolo: “Sei solo un parassita di merda per dire certe parole sciacquati la bocca con l’aceto”. Celebrato il giudizio di primo grado, a Romano viene riconosciuta la non punibilità per la tenuità del fatto. Medesimo giudizio in altro procedimento lo registra anche Paolo Borrometi al quale è stato contestato il reato di diffamazione. Borrometi si trova inoltre rinviato a giudizio in due altri procedimenti sempre per diffamazione al Tribunale di Ragusa. Da indagato è, infine, sub iudice una richiesta di opposizione alla richiesta di archiviazione, questa volta al tribunale di Siracusa, sempre e ancora per tenuità del fatto, sempre per una ipotesi di diffamazione.

CONTINUA