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26/12/2022 06:00:00

Sicilia 2022: il nuovo governo, quasi un Musumeci bis, con riforme e cambiamento attesi da decenni

 Sta per concludersi questo 2022 che ha portato a nuove elezioni regionali e nazionali, nuovi equilibri politici ma problemi mai risolti per la Sicilia. Il presidente Renato Schifani, il 25 settembre, ha vinto le elezioni con una coalizione di centrodestra che lo porta facilmente alla vittoria, l’unico competitor in campo che avrebbe potuto nuocergli era Cateno De Luca, il Partito Democratico aveva schierato in campo Caterina Chinnici e il M5S Nuccio Di Paola. Gli altri due candidati sono stati solo un orpello alla competizione elettorale, Gaetano Armao con il 2% e Eliana Esposito con lo 0,52%.

Schifani eredita il governo della Regione dal predecessore Nello Musumeci, ha continuato a parlare di continuità e rompe con pezzi di Forza Italia, in particolare con Gianfranco Miccichè. La spaccatura in seno al partito porta all’ARS la presenza di due gruppi ma per molti l’unica corrente azzurra è quella di Miccichè.

Il nuovo governo imbarca alcuni vecchi assessori, da Mimmo Turano, nel frattempo diventato Lega, che viene rispolverato non più alle Attività Produttive ma alla Formazione, Marco Falcone non più alle Infrastrutture ma all’Economia. Non esce di scena nemmeno Ruggero Razza, già assessore alla Salute, ma entra dalla finestra con un assessorato a sua moglie, Elena Pagana. E’ quasi un Musumeci bis, cambia il tatto diplomatico di Schifani, avvezzo alle istituzioni e moderato nelle posizioni, meno diretto ma allo stesso tempo non si lascia intimorire dagli spilli lanciati dalla stessa maggioranza.

I siciliani attendono buoni le riforme, il vento del cambiamento per una Sicilia che è ferma a decenni fa. Le imprese tanto decantate da Falcone sono cantieri aperti in tutte le autostrade siciliane con una viabilità da terzo mondo. La sanità è un colabrodo in tutte le province, l’agricoltura rimane il libro delle grandi illusioni, il turismo uno spot costante.

Occhi puntanti sul famoso Ponte sullo Stretto, la dichiarazione di Matteo Salvini che ha affermato che la posa della prima pietra avverrà entro 2 anni è peggio di un pugno di mosche. Il governatore, che tesse le lodi del suo predecessore, ha dovuto mettere le mani sui conti, volare a Roma per strappare il “Salva Sicilia” ma quando lo ha strombazzato ha dimenticato di esporre cosa la Regione ha dovuto sacrificare. L’accordo tra la Regione Siciliana e il Governo nazionale, per dilazionare in 10 anni il disavanzo del 2018 (Armao assessore al Bilancio) e non in 3 anni, prevede un blocco alle assunzioni fino al 2029. Il danno è servito, troppi sono i funzionari che ad oggi sono in età di pensionamento, si rischia la paralisi degli uffici. I fondi del PNRR rischiano di non essere intercettati e spesi, di non cambiare alcun volto alla Sicilia.

Schifani ha augurato ai siciliani buon Natale, bastassero questi proposti a far crescere la Sicilia saremmo già a metà dell’opera: "Buon Natale a chi soffre, buon Natale a chi vive un disagio sociale, il mio massimo impegno in questi anni di governo sarà rivolto a loro. Lavorerò senza sosta per far crescere la nostra Regione attraverso l’occupazione, una sanità più efficiente, dotata di migliori trasporti e lo farò in silenzio, con il doveroso garbo istituzionale che è necessario in momenti di politica troppo urlata, ma lo farò con la forte determinazione di chi ama la propria terra. Buon Natale”. Alle parole adesso devono seguire i fatti, la Sicilia è terra dimenticata anche da chi ha governato.