
WeBuild vuole “regalare” i dissalatori alla Sicilia. Ma la Regione resta in silenzio
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La stessa società incaricata di costruire il Ponte sullo Stretto di Messina, WeBuild, propone ora alla Regione Siciliana un altro “grande progetto” strategico: realizzare impianti di dissalazione dell’acqua marina a costo zero per le casse pubbliche, per far fronte all’emergenza idrica che attanaglia l’Isola. Il piano, da quasi 900 milioni di euro, sarebbe interamente finanziato da capitali privati, ma per ora da Palazzo d'Orléans non arriva alcuna risposta ufficiale.
Il progetto
Ad annunciare la proposta è stato Pietro Salini, amministratore delegato di WeBuild, in occasione di un evento a Venezia dedicato all’innovazione ingegneristica. Il piano prevede la costruzione di impianti per desalinizzare l’acqua del Mediterraneo, rendendola potabile e disponibile nei rubinetti dei cittadini siciliani, senza limiti e senza le attuali turnazioni. Il tutto — assicurano dalla società — senza spesa pubblica, ma con un investimento privato in grado di rientrare attraverso la vendita dell’acqua prodotta, come già avviene in molte regioni europee e del mondo.
Il silenzio della Regione
Il dossier sarebbe già sotto esame del Dipartimento regionale Acque e Rifiuti e della Protezione civile, ma la Regione non ha ancora preso posizione, né espresso pubblicamente un parere tecnico o politico. Il governatore Renato Schifani non ha commentato, nonostante la proposta tocchi uno dei punti più critici dell’agenda siciliana: la crisi idrica strutturale, aggravata dalla siccità e dalla vetustà delle reti.
Nel frattempo, la Lega applaude all’iniziativa: “È una grande opportunità – dice il ministro Salvini – e dimostra come il Nord possa portare benefici reali al Sud. Basta ideologie”. Il Movimento 5 Stelle, invece, attacca: “Svendono l’isola per gli interessi del Nord. Hanno bocciato il nostro referendum sull’acqua pubblica, e adesso si consegnano ai privati”.
Dubbi e criticità
Ma non mancano i dubbi, anche tra gli stessi funzionari regionali. Chi pagherà l’acqua prodotta? La società promette tariffe contenute, ma non chiarisce chi gestirà la distribuzione: le reti sono ancora in gran parte in mano ai consorzi Ato, ai Comuni, o commissariate. C’è poi da chiarire se il servizio sarebbe in bolletta come avviene in altre regioni, e come si armonizzerebbe con i piani idrici già in essere.
Secondo fonti vicine alla Regione, il vero nodo sarebbe la mancanza di una visione integrata: “Ogni nuovo progetto – spiegano – dovrebbe entrare in una strategia regionale sull’acqua, non può essere valutato in modo isolato”.
Un’occasione o un rischio?
Per WeBuild, la proposta rappresenta una sfida simbolica: l’azienda che costruisce il Ponte sullo Stretto vuole ora anche "salvare" la Sicilia dall’emergenza idrica. Per alcuni, è una grande opportunità tecnologica e industriale. Per altri, un tentativo di espandere il controllo privato sui beni comuni.
Il governo regionale è chiamato a decidere. Per ora, però, Palazzo d’Orléans resta in silenzio.
Nel frattempo, il governo nazionale — attraverso il decreto emergenze e l’attuazione del PNRR appena convertiti in legge — ha messo sul tavolo fino a 100 milioni di euro per il ripristino urgente di tre dissalatori già esistenti in Sicilia, situati a Gela, Trapani e Porto Empedocle. Gli impianti, dismessi da anni per gli alti costi operativi, verranno riattivati sotto la gestione del commissario straordinario alla Siccità, Nicola Dell’Acqua (nomen omen).
È una risposta concreta, ma anche un segnale d’allarme: siamo costretti a riattivare impianti chiusi perché tornano necessari. In un contesto dove città come Palermo, Caltanissetta ed Enna subiscono razionamenti idrici dal 7 ottobre 2024, il ritorno alla dissalazione mostra quanto i cambiamenti climatici e la cattiva gestione delle reti idriche abbiano reso vulnerabile l’intero sistema.
Dubbi e criticità
Non mancano però criticità strutturali. I dissalatori, se da un lato garantiscono acqua potabile anche in condizioni di emergenza, comportano alti costi energetici, producono salamoia altamente inquinante e pongono interrogativi ambientali: dove prelevare l’acqua da trattare? Dove scaricare i reflui salini?
Inoltre, in Sicilia gli acquedotti perdono oltre il 51% dell’acqua trasportata, rendendo inutile ogni produzione se non si agisce prima sulle infrastrutture, sugli sprechi in agricoltura e sull’efficienza complessiva.

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