Mozia, la “giovinetta” del V secolo riemerge dalla terra: un ritrovamento straordinario
Quarantasei anni dopo il “Giovinetto di Mozia”, l’isola dello Stagnone regala, come abbiamo raccontato su Tp24, una nuova meraviglia: una statua marmorea femminile, elegante e spezzata, riaffiora dal cuore di una delle più grandi officine ceramiche puniche del Mediterraneo. È alta 72 centimetri, priva della parte superiore, e scolpita con lo stile e la grazia dell’arte greca del V secolo a.C.: indossa un chitone e un himation, la tunica e il mantello dell’iconografia classica, ed è raffigurata nell’atto di camminare, con un movimento incedente che ne accentua la vitalità.
Una figura femminile in marmo che racconta molto più di sé. Racconta Mozia, la Sicilia, il Mediterraneo. Racconta il dialogo tra Greci e Fenici, tra scambi artistici e convivenze culturali, in una città che fu crocevia di civiltà, porto e avamposto, laboratorio di contaminazioni. Racconta anche l’importanza dell’archeologia condotta con metodo e passione: il ritrovamento è infatti frutto del lavoro della missione dell’Università di Palermo, diretta dall’archeologa Paola Sconzo, in convenzione con la Soprintendenza dei Beni culturali di Trapani e l’assessorato regionale ai Beni culturali.
La statua e il suo contesto
Il ritrovamento è avvenuto nell’Area K, nota come il “Ceramico” di Mozia, un’antica officina per la produzione di ceramiche e terrecotte. La statua giaceva sul bordo di una vasca destinata alla lavorazione dell’argilla, coperta da uno strato di ciottoli: segno di un probabile abbandono controllato, forse in coincidenza con la drammatica fase dell’assedio di Mozia da parte di Dionisio di Siracusa nel 397 a.C.
La figura è monca nella parte superiore perché realizzata in due blocchi, uniti da tenoni metallici. Il taglio netto, dicono gli archeologi, non è frutto di fratture accidentali, ma di un metodo costruttivo. Questo dettaglio, insieme alla qualità scultorea e al contesto del rinvenimento, fa pensare a una produzione greca, forse realizzata da artigiani ellenici attivi in città, oppure importata e poi esposta all’interno dell’officina stessa.
Il valore di Mozia
Il ritrovamento rilancia l’importanza straordinaria di Mozia – oggi isola di San Pantaleo – uno dei siti archeologici più affascinanti e meno valorizzati della Sicilia. Fondata dai Fenici e prospera fino alla distruzione ad opera dei Greci, Mozia fu una città-laboratorio dove convivevano elementi punici e greci, come testimonia anche il “Giovinetto” scoperto nel 1979, e oggi la “Giovinetta”, immersa nell’argilla e nel mistero.
Dal 1977 l’Università di Palermo conduce scavi regolari sull’isola, che si estende per circa 45 ettari nella laguna dello Stagnone di Marsala. In questi decenni sono emerse necropoli, vasellame, fortificazioni, abitazioni, e soprattutto l’idea di una città “plurale” in cui stili di vita, culti e gusti si fondevano. La nuova statua, ritrovata in prossimità della necropoli dei neonati (area “J”), aggiunge un tassello importante alla comprensione del ruolo che Mozia ebbe nella Sicilia antica.
Lo Stagnone: una bellezza trascurata
Il sito archeologico di Mozia si trova nella Riserva naturale orientata dello Stagnone, una delle aree lagunari più belle del Mediterraneo, tra saline, mulini a vento e tramonti mozzafiato. Ma anche tra incuria, pesca abusiva, kite surf senza regole, chioschi improvvisati e assenza di controllo. Negli anni si è parlato spesso della possibilità di candidare l’area a Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Ma la realtà è che – come spesso accade in Sicilia – alla bellezza non corrisponde una reale tutela. Senza un piano serio di gestione e valorizzazione integrata tra beni culturali e ambientali, ogni ambizione resta lettera morta.
Un futuro che emerge dal passato
«Questo ritrovamento conferma l’importanza del lavoro di ricerca e tutela che portiamo avanti ogni giorno – ha dichiarato l’assessore regionale Francesco Paolo Scarpinato – Una scoperta importante che testimonia quanto la Sicilia sia stata nei secoli un crocevia di civiltà».
Lo stupore con cui gli archeologi hanno accolto la scoperta è lo stesso che trasmette questa “giovinetta” marmorea. In un’isola segnata dalla storia e affacciata su un mare di sabbie e sale, è riemerso un volto antico della Sicilia, ancora senza testa ma già capace di raccontare tanto. Adesso non resta che continuare a scavare, studiare, tutelare. E magari – un giorno – restituire a Mozia il posto che merita, non solo nella storia, ma anche nella coscienza collettiva dei siciliani e nel cuore del Mediterraneo.
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