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26/07/2025 09:32:00

"Un detenuto si impicca a Trapani. Il silenzio di uno Stato che non rieduca"

“Tanto era uno straniero. Se era in carcere un motivo ci sarà. E se non è per quello che ha fatto, è per quello che potrebbe fare.”

Questa frase, che suona come un cinico luogo comune, oggi è una condanna di morte.

A Trapani, nel carcere Pietro Cerulli, oggi un giovane detenuto di trent’anni si è tolto la vita.

 Si è impiccato con delle lenzuola, pochi giorni dopo aver ingerito lamette in un gesto di disperazione. Era sotto sorveglianza. 

Era visto, ma non ascoltato.

La sua vita per il sistema, valeva esattamente quanto le lenzuola che lo hanno soffocato.

La sua morte era evitabile. Come lo erano tutte le altre morti che nelle carceri italiane passano in silenzio.

Le carceri devono essere luoghi di educazione, non discariche sociali.

Non possiamo accettare che il carcere sia solo un contenitore di disagio, rabbia e disperazione. Se continuiamo a considerare la pena come semplice reclusione, stiamo solo producendo altra violenza.

Solo l’educazione e la formazione possono spezzare questa catena.

Le carceri dovrebbero essere scuole di cittadinanza. Luoghi dove la pena non sia mera reclusione, ma occasione di crescita. Dove il lavoro, la formazione, il supporto psicologico siano strumenti di riscatto, non utopie da convegno. Invece, ogni giorno assistiamo alla cronaca di morti evitate, di vite ignorate, di umanità calpestata.

Solo una politica forte ed illuminata, che abbia il coraggio  di investire nella dignità delle persone detenute, può cambiare le cose.

Ogni suicidio in carcere è un fallimento della società.

E quando quel fallimento viene ignorato perché “tanto era uno straniero”, è la nostra umanità ad essere in discussione.

 

Salvatore Galluffo