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17/08/2025 06:00:00

Antonio D’Alì, da senatore di Forza Italia al “buon samaritano” in carcere

Antonio D’Alì, ex senatore e storico esponente di Forza Italia a Trapani, dopo una carriera politica ai vertici nazionali e un lunghissimo e arzigogolato processo, oggi sconta sei anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma nel carcere di Opera, a Milano, la sua storia assume toni inattesi.

Un recente articolo de l’Unità racconta infatti che l’ex senatore trapanese, 73 anni, si prende quotidianamente cura di un compagno di cella molto particolare: Bennardo Bommarito, 89 anni, detenuto da oltre trent’anni e oggi completamente cieco.

La condanna dopo un processo infinito

Il nome di Antonio D’Alì è stato per anni al centro della cronaca giudiziaria siciliana. Banchiere, uomo d’affari e politico, è stato indagato per i suoi rapporti con Cosa nostra trapanese. Dopo un percorso giudiziario lunghissimo, nel 2021 la Cassazione ha confermato la condanna a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo le sentenze, D’Alì avrebbe garantito appoggio politico e copertura a esponenti mafiosi, beneficiando in cambio di sostegno elettorale. Sul processo, e sulle tante contraddizioni emerse, Tp24 ha scritto una lunga inchiesta a puntate. 

La vita a Opera: un senatore che lava e veste un cieco

Ma la cronaca più recente lo racconta in una veste completamente diversa. Nel laboratorio “Spes contra Spem” animato da Nessuno tocchi Caino all’interno del carcere di Opera, è emerso il nuovo ruolo di D’Alì. Condivide la cella con Bommarito, originario della Sicilia e condannato all’ergastolo, che negli ultimi mesi ha perso completamente la vista.

Secondo quanto riportato da l’Unità, D’Alì ogni giorno lo assiste in tutto: lo lava, lo veste, lo accompagna fuori all’aria, lo aiuta a mangiare e a muoversi. Un impegno totalizzante, che ricorda quello dei caregiver familiari ma in un contesto estremo, dietro le sbarre.

L’altra faccia della pena

Il racconto colpisce perché descrive D'Alì come un “buon samaritano” che si dedica a un compagno fragile. Una parabola che interroga anche sul senso della detenzione: un ex politico condannato per mafia che diventa badante di un novantenne cieco, a sua volta detenuto da tre decenni con un “fine pena mai”.

Il laboratorio di Nessuno tocchi Caino sottolinea proprio questo: come in carcere, accanto alla privazione della libertà, si consumi anche una lenta erosione della dignità, specie per chi è anziano o malato. E come, talvolta, proprio i detenuti riescano a restituire umanità in condizioni di degrado.

Un simbolo che divide

La vicenda non cancella il peso della condanna di D’Alì. Ma apre uno squarcio su un tema che riguarda tutti: il senso della pena, la funzione rieducativa del carcere, la dignità delle persone private della libertà (qui il report di Nessuno Tocchi Caino sulla situazione al carcere di Trapani).
E forse segna l’ennesimo capitolo di una storia che, nel bene e nel male, continua a riflettere i contrasti e le contraddizioni della Sicilia.

Qui l'articolo de L'Unità