Nuovo capitolo nella vicenda del Palashark e stadio provinciale. Nel fine settimana il gruppo Sport Invest ha diffuso un comunicato sostenendo di aver “regolarmente inserito nel cassetto fiscale” le fatture fiscali complete di tutti i codici obbligatori destinate al Comune di Trapani e al Libero Consorzio. Un passo che, secondo il romano Valerio Antonini, dovrebbe obbligare le istituzioni a saldare – in tempi rapidissimi – i lavori che la Trapani Shark e la Sport Invest dichiarano di aver eseguito negli ultimi due anni negli impianti sportivi pubblici.
Ma, al di là degli annunci, restano pesanti anomalie e domande irrisolte.
Fatture annunciate, ma nessun ente le ha ancora ricevute formalmente
Il primo punto è tecnico, e decisivo: il cassetto fiscale non è un mezzo di notifica verso la pubblica amministrazione.
Perché un ente pubblico possa considerare “ricevuta” una fattura, questa deve transitare obbligatoriamente tramite il Sistema di Interscambio (SDI). Solo dopo il controllo tecnico e formale l’SDI la inoltra all’ente destinatario, che la protocolla.
Senza passaggio da SDI la fattura semplicemente non esiste nei confronti della PA.
Ad ora – secondo quanto risulta a Tp24 – né il Comune di Trapani né il Libero Consorzio hanno ricevuto fatture tramite SDI, né risultano comunicazioni ufficiali di protocollazione.
Resta quindi da capire se si tratta di fatture effettive o, ancora una volta, di proforma caricate nel cassetto fiscale e presentate come atti esigibili.
I codici obbligatori? La convenzione era… scaduta per legge
Sport Invest sostiene che le fatture contengono “tutti i codici obbligatori previsti dalle convenzioni”.
Ma qui si apre un altro problema: la convenzione del 2023 non era più valida. La trasformazione della Shark da SSD a Srl – dichiarata dalla stessa società – ha fatto venir meno il presupposto giuridico che consentiva l’affidamento gratuito dell’impianto.
Senza convenzione valida, quali sarebbero i “codici obbligatori” da inserire?
E soprattutto: a quale titolo un soggetto privato emette fatture milionarie per lavori su un bene pubblico senza che vi sia un contratto, un affidamento, un CIG o un CUP validi?
Anche questo resta senza risposta.
Causa in Lussemburgo e denuncia per “indebito arricchimento”: tra suggestione e inesattezze
Il comunicato annuncia inoltre che T Holding – società lussemburghese che controlla Sport Invest – “depositerà presso l’Alta Corte del Lussemburgo” una causa risarcitoria contro Comune e Provincia.
Una dichiarazione che appare, per competenza territoriale, di difficile sostenibilità.
L’Alta Corte del Lussemburgo non ha giurisdizione su atti amministrativi italiani né su controversie tra un ente pubblico italiano e una società privata. Eventuali contenziosi devono svolgersi davanti ai giudici italiani.
Anche la minaccia di una denuncia per “indebito arricchimento” è quantomeno impropria.
L’indebito arricchimento non è un reato, ma un istituto civilistico che presuppone un’utilità patrimoniale ricevuta senza causa giuridica. Se i lavori non sono stati richiesti, autorizzati, verificati o rendicontati, non può configurarsi alcuna pretesa di rimborso.
Un punto essenziale: nessuno ha ancora visto le quietanze
Antonini sostiene di aver prodotto tutte le quietanze, ma: né Comune né Provincia hanno ricevuto alcuna documentazione formale, nessuna quietanza è stata protocollata, nessuna verifica contabile è stata possibile.
Il “progetto Antonini” e la narrazione del complotto
Il comunicato si chiude con toni da resa dei conti: Trapani sarebbe ostaggio di “una politica scellerata fondata su risentimenti personali”, che avrebbe “distrutto rapporti con sponsor e fondi di investimento”.
Un linguaggio che si inserisce in quella narrativa – più volte rilanciata dallo stesso Antonini – della “persecuzione” verso il suo progetto imprenditoriale e sportivo, senza però mai affrontare il nodo centrale della vicenda: la convenzione era incompatibile con il passaggio della società al professionismo, e gli obblighi previsti non sono stati assolti.
Il punto: molti annunci, poche risposte
In attesa di verificare se davvero esistano fatture in forma legittima depositate tramite SDI, rimangono aperte domande sostanziali:
- Perché i lavori non sono stati rendicontati per due anni, come previsto per legge?
- Perché non sono stati presentati i documenti richiesti nel procedimento di revoca?
- Perché si emettono fatture milionarie senza un contratto attivo e senza un CIG?
- Perché si parla di “indebito arricchimento” quando le spese non risultano autorizzate?
- Perché evocare tribunali esteri senza giurisdizione sulla vicenda?
La vicenda continua, ma una cosa è chiara: prima delle minacce, servono gli atti. E ancora non si vedono.