Il documento, approvato dalla Sezione di controllo per la Regione siciliana, è un atto pesante: oltre 200 pagine che ricostruiscono venticinque anni di gestione, dal 1999 a oggi, attraversati da emergenze mai davvero superate, commissariamenti, ritardi cronici nella pianificazione e una dipendenza strutturale dalle discariche private.
Un sistema bloccato nell’emergenza
Il primo nodo evidenziato dalla Corte è di sistema: la gestione emergenziale non è mai stata realmente superata, ma si è trasformata in una modalità ordinaria di governo del settore. Dal 1999 in poi, l’emergenza rifiuti ha prodotto una lunga sequenza di commissari straordinari, ordinanze, poteri speciali e deroghe.
Il problema, sottolineano i giudici, è che non esiste una documentazione completa sulle gestioni commissariali: mancano relazioni conclusive, rendicontazioni dettagliate e dati certi sulle infrastrutture effettivamente realizzate con i fondi pubblici assegnati. Una lacuna definita “grave e ingiustificabile”, che ha impedito alla Corte di verificare quali opere siano state completate, quali siano operative e quali invece siano rimaste sulla carta. Il rischio, chiaramente indicato nel referto, è che l’emergenza continui a coprire le inefficienze della gestione ordinaria, anziché risolverle.
Il ritardo storico del Piano rifiuti
Altro punto centrale è il ritardo cronico nell’approvazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti, conforme alle direttive europee. Un ritardo che la Corte definisce tra i più gravi deficit programmatori dell’amministrazione regionale. Il Piano aggiornato nel 2024 è arrivato solo dopo anni di stallo, ed è stato approvato in regime di emergenza, con un’ordinanza del Presidente della Regione nella veste di Commissario straordinario. Un passaggio forzato, necessario per evitare il blocco dei fondi europei legati alla cosiddetta “condizione abilitante 2.6”, ma che non risolve i problemi strutturali. Secondo la Corte, il Piano 2024 utilizza dati non aggiornati, in gran parte fermi al 2022, e presenta stime inattendibili sui flussi di rifiuti, rendendo fragile l’intera programmazione impiantistica.
Dati carenti, monitoraggio debole
Il referto insiste molto su un aspetto spesso sottovalutato: la carenza informativa. Il sistema regionale di raccolta dati sui rifiuti è incompleto, frammentato e poco trasparente. Mancano informazioni aggiornate anche su elementi cruciali, come il trasferimento dei rifiuti fuori Regione, che continua a incidere pesantemente sui costi.
La piattaforma O.R.SO., adottata per il monitoraggio dei flussi, presenta criticità operative e non garantisce ancora un quadro attendibile. A ciò si aggiunge un’assenza ritenuta particolarmente grave: la mancata pubblicazione della relazione annuale sullo stato di attuazione del Piano rifiuti, strumento essenziale per verificare se gli obiettivi vengano davvero raggiunti.
Raccolta differenziata: cresce, ma resta insufficiente
La raccolta differenziata in Sicilia è aumentata negli ultimi anni, ma resta lontana dagli obiettivi europei. Nel 2023 si è attestata attorno al 55%, ben al di sotto del 65% fissato per legge già dal 2012. Il dato più critico riguarda le grandi città: Palermo e Catania continuano a trascinare verso il basso la media regionale. Ma anche dove la differenziata cresce, il sistema si inceppa per un motivo strutturale: la carenza di impianti di trattamento. Senza impianti di recupero e riciclo sufficienti e ben distribuiti, la raccolta differenziata produce costi aggiuntivi, perché i rifiuti devono essere trasportati anche fuori Sicilia.
Impianti, discariche e termovalorizzatori: i nodi irrisolti
La Corte dedica ampio spazio alla rete impiantistica, evidenziando squilibri territoriali profondi. Alcune aree, come la Sicilia nord-orientale, risultano storicamente penalizzate, senza impianti sufficienti per garantire prossimità e autosufficienza. Particolarmente critico il ruolo dei TMB (trattamento meccanico biologico): oggi la quasi totalità del rifiuto trattato finisce comunque in discarica. Nel 2022 circa il 70% del rifiuto in uscita dai TMB è stato smaltito senza ulteriori recuperi, un dato in peggioramento rispetto agli anni precedenti.
Sul fronte delle discariche, la Regione ha ridotto in sede di contraddittorio le volumetrie programmate, ma la Corte segnala una incoerenza tra Piano e attuazione: anche con i nuovi numeri, molte discariche rischiano l’esaurimento tra il 2030 e il 2031, soprattutto se gli impianti previsti non entreranno in funzione nei tempi indicati.
Quanto ai termovalorizzatori, due impianti da 600 mila tonnellate annue complessive, la Corte non entra nel merito politico della scelta, ma chiede chiarezza su dimensionamento, flussi reali di rifiuti e coerenza con l’aumento della differenziata, segnalando che le stime sono basate su dati incerti.
Undici richieste di chiarimenti
Alla Regione e agli enti coinvolti la Corte rivolge undici richieste puntuali di approfondimento, tra cui una particolarmente significativa: fornire un riscontro tecnico sul dimensionamento di discariche e termovalorizzatori alla luce dei dati più recenti sui flussi di rifiuti urbani. Nonostante il contraddittorio già avviato, i magistrati tornano a chiedere documentazione aggiuntiva, soprattutto sulle gestioni commissariali, a conferma di un quadro che resta incompleto.
Un sistema da ricostruire
Il referto non si limita a elencare criticità, ma restituisce l’immagine di un sistema che non ha mai compiuto la transizione dalla gestione emergenziale a quella industriale, come richiesto dall’Unione europea. La Sicilia continua a muoversi in ritardo, con scelte spesso condizionate dall’urgenza e da un assetto impiantistico sbilanciato.
La Corte dei conti affida ora tutto al follow up: verifiche successive per capire se le raccomandazioni verranno davvero tradotte in atti concreti. Ma il messaggio è chiaro: senza dati certi, programmazione credibile e trasparenza amministrativa, il ciclo dei rifiuti resterà una delle principali voragini finanziarie e ambientali dell’Isola.
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