Telesud, dal “sognatore” al default annunciato. E ora chi paga il conto?
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«Trapani è una città autolesionista».
Era il 26 novembre scorso, appena due settimane fa, quando Nicola Baldarotta, direttore responsabile di Telesud, apriva un editoriale video destinato a far discutere. Un intervento appassionato, quasi militante, in cui il direttore dell’ex emittente (oggi web tv) ancora una volta difendeva Valerio Antonini, editore, imprenditore “planetario”, patron dello sport trapanese e – non ultimo – suo datore di lavoro.
Baldarotta parlava di una città ingrata, incapace di riconoscere il “sognatore” che aveva riportato Trapani al centro del dibattito sportivo nazionale. Invitava i trapanesi a svegliarsi dal fatalismo, a sostenere economicamente e culturalmente i progetti di Antonini, ammonendo che senza di lui sarebbe rimasto solo il declino. Un editoriale che suonava come una lezione di moralità collettiva, con il direttore che metteva “la faccia”, rivendicando apertamente il proprio ruolo: «Sono il direttore di Telesud, pagato da Valerio Antonini».
Oggi, a distanza di quindici giorni, quella lezione assume contorni quantomeno imbarazzanti.
Perché nel frattempo scopriamo che i giornalisti di Telesud non vengono pagati da due mesi e che la tredicesima del 2024 non è mai stata corrisposta. Non solo: la redazione ha proclamato lo stato di agitazione e per oggi una giornata di sciopero, denunciando una situazione economica ormai insostenibile. Altro che “rinascita”, altro che “sognatori”: qui siamo davanti a lavoratori lasciati senza stipendio, alla vigilia di Natale.
E allora la domanda è inevitabile: con quale coraggio Baldarotta dava lezioni di responsabilità e partecipazione alla città di Trapani, mentre nella sua redazione i colleghi accumulavano arretrati e incertezze? Chi dovrebbe “svegliarsi”, davvero?
La crisi di Telesud non nasce oggi. È l’ultimo atto di una vicenda lunga e opaca, fatta di scontri interni, accuse reciproche, comunicati, dirette social e, ora, di censure. Dopo la pubblicazione sul sito dell’emittente della lettera dei giornalisti – un documento durissimo, ma civile, che chiedeva stipendi arretrati, chiarezza e un piano sul futuro – quella stessa lettera è stata rimossa nel giro di un’ora. Un gesto che ha fatto saltare il banco.
A intervenire è stato, con ogni probabilità, lo stesso Antonini, che sui social ha parlato di un uso improprio dei «canali di comunicazione di proprietà dell’azionista per interessi propri», elogiando la gestione del direttore e aggiungendo una frase che suona come una resa:
«Anche per Telesud, pronto ad ascoltare offerte, ma so già la risposta».
Non basta. Antonini ha poi diffuso un messaggio indirizzato ai dipendenti in cui ammette che la situazione è «assolutamente esplosiva». Rivendica di aver versato 420 mila euro negli ultimi dodici mesi per la gestione ordinaria, soffocata – dice – da debiti con l’erario risalenti al periodo 2015-2020, dall’assenza di sponsor e dall’impossibilità di accedere a finanziamenti regionali. E qui arriva il punto più grave: l’ipotesi di liquidare Telesud 3 Srl e ripartire con una “good company”, una nuova società “pulita”, senza debiti, nella quale verranno rinnovati solo i contratti ritenuti sostenibili.
Tradotto: tutti i contratti in scadenza il 31 dicembre 2025 non saranno rinnovati, perché la società andrà in liquidazione. Gli stipendi arretrati? Forse, dice Antonini, attingendo ancora una volta alle proprie finanze personali, con il pagamento di ottobre promesso entro il 24 dicembre. Novembre, dicembre e tredicesima restano sospesi, come il futuro di chi lavora lì da anni.
Nel frattempo, i giornalisti hanno reagito come potevano: ripubblicando sui propri profili social la lettera censurata e denunciando la cancellazione anche del video con la lettura del comunicato sindacale. Un atto simbolico, ma potente: quando l’azienda toglie la parola, la parola trova altre strade.
Il quadro che emerge è desolante. Da un lato, un editore che per mesi ha occupato la scena pubblica con toni trionfalistici, promesse di piattaforme digitali, numeri di visualizzazioni, dirette quotidiane e progetti “vincenti”. Dall’altro, una redazione di giornalisti che scopriamo inermi, senza stipendi, senza certezze, senza nemmeno lo spazio sul proprio sito per raccontare cosa sta accadendo.
E in mezzo, quell’editoriale del 26 novembre, che oggi suona come un documento fuori tempo massimo. Baldarotta parlava di una città che “sparlava mentre Antonini costruiva”.
Forse Trapani non è una città autolesionista. Forse è una città che ha visto passare troppe volte salvatori annunciati, progetti personalistici e narrazioni enfatiche, salvo poi ritrovarsi – puntualmente – a fare i conti con le macerie. Questa volta, però, le macerie hanno nomi e cognomi: sono quelli dei giornalisti, dei tecnici, degli amministrativi di Telesud. Come quelli dei tanti fornitori che in questi mesi hanno detto di vantare crediti importanti e che sono stati trattati per truffatori.
E la domanda finale resta sospesa, come un debito non saldato: chi risponderà davvero di tutto questo?
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